Dietro la scelta disagio sociale e difficoltà economiche. Partorire nell’anonimato si può ma in pochi lo sanno. I dati presentati oggi da Fondazione Francesca Rava e KPMG Italia presso il Ministero della Salute.

Gabriele Francesco, chi non ricorda la sua storia? E’ il piccolo abbandonato subito dopo la nascita tra i rifiuti sotto un cavalcavia della Milano-Torino all’altezza di Novara Ovest. Una vita vissuta un solo giorno capace però di segnare quella di molte persone che sono venute a conoscenza della sua storia. Vicende come questa sono fortunatamente rare ma il mancato riconoscimento di un bambino appena nato non è un evento così remoto. Secondo un’indagine effettuata dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN) in collaborazione con ninna ho, progetto a tutela dell’infanzia abbandonata promosso da Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus e dal Network  KPMG in Italia, tra luglio 2013 e giugno 2014 sono stati 56 i neonati non riconosciuti dalle mamme su un totale di 80.060 bambini nati (il totale dei nati in Italia supera le 500 mila unità. Potenzialmente i non riconosciuti potrebbero essere uno al giorno ). I risultati sono frutto di un’indagine condotta su un campione nazionale di 100 Centri nascita. Numeri importanti che non tengono conto della realtà sommersa dei bambini partoriti e mai ritrovati. Perché a differenza di quanto si possa pensare sono ancora poche le donne che sono a conoscenza della possibilità di partorire in maniera anonima. Non solo, dai dati emerge il profondo disagio sociale ed economico nell’affrontare l’arrivo di un neonato. Ragioni che hanno spinto queste organizzazioni a presentare oggi presso il Ministero della Salute il primo “Rapporto sulla situazione dei bambini non riconosciuti alla nascita”.

Identikit delle mamme

Nel 62,5% dei casi si tratta di neonati non riconosciuti da madri straniere e nel 37,5% da mamme italiane. Le mamme che scelgono di non riconoscere i loro bambini hanno un’età compresa tra i 18 e i 30 anni nel 48,2% dei casi. La maggioranza delle mamme che scelgono di non riconoscere i loro bambini, pur avendo fissa dimora, hanno partorito in una città diversa dalla propria residenza (ben l’84%). Il 48,2% non è sposata e solo il 12,5% ha un lavoro. Per quanto riguarda il livello di istruzione, il 32,2% delle madri ha una scolarità medio-bassa (licenza elementare o di scuola media inferiore), il 19,6% ha un diploma di scuola media superiore, mentre l’1,8% è laureata.

I motivi dell’abbandono

Per quanto riguarda i motivi dell’abbandono, al primo posto troviamo il disagio psichico e sociale (37,5%), seguito dalla paura di perdere il lavoro o più in generale dai problemi economici (19,6%). La paura di essere espulse o di dover crescere un figlio da sole in un Paese straniero è un motivo scatenante per il 12,5% delle donne immigrate; segue la coercizione per il 7,1%; la giovane età (5,4%); la solitudine (5,4%) e la violenza (1,8%).

Prevenire il fenomeno

«Con questa indagine -spiega Mariavittoria Rava, Presidente della Fondazione Francesca Rava- abbiamo voluto raccogliere dati quantitativi e qualitativi sulle situazioni dei bambini non riconosciuti alla nascita al fine di individuare, insieme alla SIN e alle istituzioni, nuovi strumenti e metodi più efficaci per prevenire gli abbandoni in condizioni di rischio». Da anni la Fondazione -in collaborazione con KPMG Italia- ha dato vita a “Ninna ho”, il primo progetto nazionale a tutela dell’infanzia abbandonata. «Il progetto -spiega Giovanni Rebay di KPMG- oltre a tutelare il neonato e stare accanto alla donna in difficoltà si prefigge l’obbiettivo di offrire una concreta possibilità di esercitare presso strutture ospedaliere il diritto al parto in anonimato garantito dalla legge italiana. Sembra banale ma in poche ne sono a conoscenza».

La moderna ruota degli esposti

Per evitare casi estremi come quello di Gabriele Francesco il progetto “Ninna ho” ha previsto anche la donazione e installazione di culle termiche -la moderna versione della ruota degli esposti- presso un network di ospedali (al momento sono 7) dislocati in tutta Italia dove lasciare il piccolo al sicuro in completo anonimato.

Non solo anonimato. Servono più politiche di sostegno

Come spiega il professor Costantino Romagnoli, Presidente della Società Italiana di Neonatologia, «Abbiamo partecipato con entusiasmo e forte coinvolgimento al progetto ninna ho perché siamo coscienti del problema che esiste in Italia e che è sicuramente più ampio di ciò che emerge dai fatti di cronaca. Agevolare e incrementare l’informazione per arrivare direttamente a queste donne in difficoltà attraverso ambulatori, centri di assistenza sociale, consultori e parrocchie è secondo noi la strada da percorrere per il futuro» Attenzione però a non liquidare la questione solo attraverso una maggiore informazione sul diritto all’anonimato. Secondo i neonatologi per prevenire l’abbandono c’è la forte necessità di assicurare sostegno e assistenza alle donne in difficoltà rafforzando le politiche per la famiglia e per l’infanzia, favorire una maggiore integrazione e collaborazione tra attività ospedaliera e territoriale e assicurare una migliore presa in carico della madre e del bambino da parte di Consultori e Servizi sociali.

Fonte

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