Domenica mattina, al traguardo, lo aspettava suo padre. «Mi è venuto incontro tenendo in mano la bandiera italiana e quella etiope. Per me è stato bellissimo: finalmente era riuscito a vedermi gareggiare all’estero». Yeman Crippa ha 19 anni e una timida gioia addosso: «Dell’Etiopia mi manca la semplicità, perché lì non sapevamo cos’era tutto il resto. Qui in Italia però sto bene, non mi manca niente e mi piace la possibilità che mi è stata data, il lavoro che faccio adesso, insomma la vita da atleta professionista».

Due giorni fa, all’Ippodromo di Hyères, in Costa Azzurra, ha conquistato il suo secondo oro agli Europei Juniores di cross. Finora ha collezionato venti medaglie europee under 20 e il credito delle Fiamme Oro di Trento, con cui da tre mesi può pagare un affitto vicino al campo dove si allena ogni giorno. «Fino a settembre ci arrivavo in corriera, un’ora di viaggio ad andare e un’ora a tornare, perché abitavo a Montagne».

In Italia è arrivato quando aveva cinque anni e mezzo e Roberto e Luisa Crippa, milanesi, avevano deciso di adottare lui e i suoi cinque fratelli dall’orfanotrofio di Addis Abeba. «Prima sono arrivato io con due mie sorelle, nel 2005 ci hanno raggiunto gli altri tre e nel 2008 sono arrivati due nostri cugini. Da piccoli vivevamo in un villaggio e lì non stavamo mai fermi, ci divertivamo a inseguire le mucche che pascolavano, dovevamo fare anche quattro chilometri a piedi per prendere l’acqua al fiume con i secchi. In Africa è così, per fare qualsiasi cosa si cammina…».

L’accento trentino lo ha preso in fretta, correndo per le vallate intorno alla sua nuova casa. «Gli studi li ho interrotti dopo il diploma triennale all’alberghiero di Tione. A quel punto ho scelto di dedicarmi soltanto all’atletica, anche perché si stava concretizzando l’opportunità di diventare poliziotto ed entrare nella squadra delle Fiamme Oro. Così ho lasciato il calcio, che pure mi piaceva molto».

Balotelli, però, non è il suo mito. «Non lo posso giudicare, non lo conosco, però non è uno al quale aspiro. Il mio modello sportivo, semmai, è Mohamed Farah, il mezzofondista somalo naturalizzato inglese: mi piacerebbe incontrarlo, un giorno».

Yeman ha un nome importante, che per esteso — Yemaneberhan — in amarico significa «il braccio destro di Dio». Eppure, per adesso, la sua cifra distintiva è soprattutto una grande umiltà, nonostante il regista Matteo Valsecchi abbia dedicato a lui e all’altro fratello che fa atletica il docufilm Yema e Neka. «Io e la mia famiglia ci siamo sempre comportati bene. Il mio sogno? Le Olimpiadi…».

Da un anno è fidanzato con Giorgia Borsatti, che abita a Riva del Garda e corre sui 100 e i 200 metri. «Ci siamo conosciuti ai raduni un anno fa». Nel tempo libero va al cinema («Da poco ho visto il film su 007»), ascolta il rap e, degli italiani, gli piace Ligabue su tutti. Piatto preferito: lasagne.

All’Etiopia continua a pensare. «Vorrei avere la possibilità, un giorno, di restituire quello che mi è stato dato. Sarebbe bello poter contribuire con una scuola o un ospedale». Da quando è stato adottato ci è ritornato tre volte. «Una volta con tutta la famiglia e due volte con i miei fratelli. Però per me è stato un po’ imbarazzante perché ho dimenticato la lingua, volevo essere lì a tutti i costi, ma non sapevo più parlare».

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