Anna Maria Colella è il direttore di ARAI-Regione Piemonte, l’unico ente autorizzato pubblico, convenzionato anche con le regioni Liguria, Valle d’Aosta, Lazio e Calabria. Da qualche anno organizza incontri di formazione per genitori adottivi tema della ricerca delle origini biologiche l’haapprofondito attraverso un Convegno nazionale, tenutosi a Torino la scorsa primavera, in cui esperti italiani e stranieri hanno analizzato il fenomeno secondo varie prospettive professionali e culturali. Il convegno era intitolato “Connessioni: leg@mi adottivi ai tempi di internet” ed è stato anche l’occasione per presentare il volume “Faccia a faccia con Facebook: manuale di sopravvivenza per le famiglie adottive” (Franco Angeli), di Eileen Furslan, una guida pratica alla prevenzione e alla gestione del contatto attraverso i social network, rivolta a genitori adottivi e operatori dell’adozione, tradotta proprio da ARAI.

Dottoressa Colella, ultimamente si parla molto di ricerca delle origini e pare che – complici i social network – un numero crescente di ragazzi adottati si metta alla ricerca dei propri genitori biologici. Esistono però dei numeri relativi a questo fenomeno?

Il bisogno di sapere è davvero molto diffuso e non dipende dallo stato di benessere del ragazzo né della riuscita dell’adozione. Un ampio studio olandese ci dice che il 64% dei giovani adulti adottati a livello internazionale è interessato a scoprire le proprie origini. Mancano ancora dei dati italiani sull’uso dei social network a questo scopo. Gli studi anglosassoni però mostrano uno scenario davvero esteso: sopra i 13 anni, un ragazzo adottato su 3 stabilisce un contatto online con la famiglia biologica. Anche più della metà dei genitori adottivi (il 61%) usa internet per cercare informazioni sulla famiglia biologica, quasi per anticipare e conoscere quanto potrebbero trovare i propri figli. Da noi sono in crescita le segnalazioni di operatori e famiglie che si trovano a gestire gli effetti di un contatto su internet, sia su adozioni nazionali che internazionali. Negli incontri di formazione che ARAI ha tenuto in questi anni sul tema, i genitori hanno mostrato un grande interesse perché questo è un aspetto che preoccupa e perché molte famiglie si sono già trovate a fare i conti con gli effetti di questi contatti.

Uno studio olandese dice che il 64% dei giovani adulti adottati a livello internazionale vuole scoprire le proprie origini. Gli studi anglosassoni dicono che sopra i 13 anni, un ragazzo adottato su 3 stabilisce un contatto online con la famiglia biologica. E il 61% dei genitori adottivi usa internet per cercare informazioni sulla famiglia biologica del figlio

Che cosa prevede in sintesi la legge italiana? E cosa – ovviamente tramite alcuni esempi – le normative dei Paesi di provenienza dei ragazzi? Il fatto che ci siano grandi differenze nelle leggi, cosa comporta?

La legge italiana prevede che dopo i 25 anni di età l’adottato possa chiedere al tribunale informazioni anche identificative sulla propria famiglia di origine. Nel caso di nati da parto segreto la legge prevedeva l’impossibilità di accedere a queste informazioni, ma a causa del richiamo della Corte costituzionale sono in discussione nuove proposte normative. Altro caso ancora riguarda l’adozione internazionale: in alcuni casi i genitori adottivi sono in possesso di dati identificativi della famiglia biologica, e se si vogliono ottenere aggiornamenti o informazioni ulteriori, va fatto ricorso all’autorità straniera e si devono fare i conti con la relativa normativa. Come lei ha anticipato, le leggi variano da Paese a Paese. Ad esempio abbiamo constatato che il limite fissato dalla nostra legge è uno dei più alti: nella maggior parte dei casi è sufficiente la maggiore età, e in alcuni paesi (come in Svezia, Belgio, Corea del Sud) l’adottato può fare richiesta anche prima dei 18 anni. Talvolta, per svelare le origini, viene chiesto il consenso anche dei genitori biologici (come in Ecuador, Svizzera, Corea del Sud). Il risultato è che i ragazzi italiani adottati dall’estero si trovano a fare i conti con due quadri normativi diversi.

L’avvento di internet e dei social network consente di “aggirare” i limiti oggi previsti dalla legge: cosa accade quindi nella realtà?

L’avvento di internet ha abbattuto molte barriere, e lo ha fatto anche su questo tema. Internet è uno strumento potente, versatile e immediato, che consente a tutti di avviare una ricerca senza appoggiarsi ad operatori specializzati. E, per un aspetto così delicato della vita delle persone, l’essere da soli costituisce un forte rischio. I social network permettono di mettersi facilmente in contatto con paesi anche lontanissimi: molti ragazzini hanno trovato e contattato i membri della propria famiglia di nascita, di quella affidataria, o ancora con altri compagni di istituto, ma sappiamo anche di madri biologiche che sono riuscite a risalire all’indirizzo della famiglia adottiva. Guardando all’interno dei nostri confini, internet e gli annunci mediatici sono stati per lungo tempo gli unici strumenti a disposizione di coloro che non avevano altre possibilità di recuperare informazioni sulle proprie origini perché nati da parto segreto.

Arai ha curato un convegno importante e un volume su questo tema. Quali consigli potremmo dare ai ragazzi e alle famiglie rispetto alla “gestione” dello strumento social network rispetto alla possibilità di ritrovare o essere ritrovati dalla famiglia d’origine? Ragazzi e famiglie hanno adeguata consapevolezza delle potenzialità dello strumento e al rischio legato al fatto che il contatto può avvenire “in solitudine”?

La parola chiave è conoscere per prevenire. Purtroppo sappiamo che pochi ragazzi e genitori sono adeguatamente informati, ma dovrebbero sapere quali rischi si corrono sui social e devono saper usare alcune cautele per evitare contatti indesiderati, come ad esempio usare corretti settaggi della privacy, non pubblicare determinate immagini e non condividere certe informazioni (sul libro Faccia a faccia con Facebook vengono spiegati meglio). In caso si voglia avviare una ricerca delle origini via internet, è indispensabile essere consapevoli dei rischi e delle potenzialità e sarebbe opportuno farsi accompagnare da un professionista.

Internet è uno strumento potente, versatile e immediato, che consente a tutti di avviare una ricerca senza appoggiarsi ad operatori specializzati. E, per un aspetto così delicato della vita delle persone, l’essere da soli costituisce un forte rischio.

In base alle esperienze dei Paesi anglosassoni che avete raccolto nel convegno e nel volume, che hanno visto prima di noi l’esplosione del fenomeno, quali conseguenze ha la reunion? Quando e a che condizioni questa è una tappa positiva del percorso psicologico e identitario di un ragazzo?

In base alle esperienze straniere, ci sembra di poter dire che molti ragazzi sentono il bisogno di un contatto con la famiglia, soprattutto coi fratelli, per sapere cosa è successo nel frattempo e per sapere come stanno. Se l’adottato è sufficientemente pronto e maturo, questi contatti possono rivelarsi positivi perché lo rassicurano e gli forniscono pezzi mancanti del proprio puzzle. Ciò a patto che entrambe le parti siano rispettose dei limiti fissati dall’altro, anche se c’è il rischio che sfugga il controllo e questi contatti diventino invasivi. Per questo è importante la mediazione di una terza parte, che possa tutelare sia l’adottato che la famiglia biologica.
Gli enti autorizzati cosa dovrebbero fare a suo parere davanti a questo fenomeno crescente? Accompagnare i ragazzi adottati e le famiglie in questa ricerca soltanto da un punto di vista psicologico o anche in altro modo? Ad esempio collaborano/possono collaborare nella ricerca dei genitori? Sono in possesso/possono fornire/dovrebbero poter fornire informazioni?

Gli enti autorizzati, così come tutti i professionisti dell’adozione, dovrebbero essere formati per accompagnare le famiglie in questo nuovo scenario, sia informandole che sostenendole. Nel caso di adozione internazionale, oltre al sostegno psicologico, è importante offrire un accompagnamento nei contatti con il Paese di origine.

Questo tema a suo parere ha bisogno di una riflessione comune aggiuntiva da parte di Cai, enti e servizi?

Assolutamente sì. Finora sono mancate occasioni di confronto, ma è importante una riflessione congiunta per diffondere le buone prassi e stabilire delle linee guida. Questa partita, infatti, va regolamentata non soltanto a livello normativo (è attualmente in discussione al Senato una proposta di riforma legislativa), ma anche a livello amministrativo. Questo è necessario per dare, su tutto il territorio italiano, risposte organizzative adeguate e più omogenee, con personale competente e specializzato. Ad esempio la Francia ha istituito un organo specializzato a livello nazionale, il Consiglio Nazionale per la ricerca delle origini. In Italia potrebbero essere individuati dei nuclei specializzati nell’ambito territoriale regionale, che possano operare anche in collaborazione con le autorità giudiziarie minorili.

di Sara De Carli – Fonte

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