ROMA. Le sue ultime sentenze hanno spalancato le porte alla stepchild adoption, facendole cadere sulla testa insulti e lodi in pari misura. Ma l’ironia è compagna fedele della giudice Melita Cavallo: “Prima o poi dovranno rassegnarsi, ho soltanto applicato la legge sulle adozioni”. Per 40 anni ha difeso l’infanzia violata e abusata nei tribunali di Milano, Napoli e Roma. “Quando ho cominciato a fare il magistrato l’Italia era piena di figli. I bambini non avevano voce. Potevano essere comprati, venduti. Ricordo i loro occhi spaventati. Per questo ho deciso di dedicarmi alla giustizia minorile”.

Da due giorni Melita Cavallo, presidente del tribunale per i minori di Roma, il più grande d’Italia, è in pensione. Classe 1943, “siamo nati sotto le bombe, forse è per questo che la mia generazione è così tenace”, è stata testimone della metamorfosi della famiglia. Oggi a più di 70 anni ne abbraccia il cambiamento. Spiazzando colleghi e politici. Accanto a lei, in una casa fresca di trasloco, Giuseppe, marito (affettuoso) da quasi mezzo secolo.

Verrà ricordata come il giudice delle coppie gay…
“Un errore, sono un giudice e basta. E così come ho ritenuto, in sei sentenze, che per quel figlio fosse giusto essere adottato dalla compagna della madre, così ho curato le adozioni di centinaia di bambini nelle coppie eterosessuali”.

E la legge che spacca il Parlamento?
“Le norme già esistono. Articolo 44 della legge 184 del 1983”.

Direbbe di sì anche a una coppia di padri omosessuali?
“Se fosse giusto per i figli, perché no? Sono i legami affettivi che contano. A una coppia di donne l’adozione l’ho negata. Era evidente che il bambino non riconosceva la partner della madre come madre anch’essa. Ma ormai se ne occuperanno i miei colleghi…”.

E la maternità surrogata?
“Soltanto come un dono. Se posso donare un rene a un’amica o a una sorella che grazie a questo sopravviverà, dov’è lo scandalo di far nascere un bambino grazie all’utero di un’altra donna. E del resto la “surrogacy” è sempre esistita. Ma era molto peggio”.

Si faceva e non si diceva?
“Negli anni ’70, quando ho iniziato, la condizione dell’infanzia era disastrosa. A Milano c’erano i figli degli immigrati calabresi e siciliani che non riuscivano a integrarsi, e spesso finivano nelle case di correzione. Ma a Napoli accadeva di tutto”.

Adozioni illegali, compravendite?
“Tra i poveri chi aveva molti figli li vendeva a chi non ne aveva. Poi venivano in tribunale chiedendo di legittimare quell’adozione di fatto. Me li mettevano sul tavolo. “Lo faccia per la creatura, giudice…”. Negli anni del terremoto dell’Irpinia fu l’apice. Migliaia di sfollati. I cacciatori di bambini ne approfittarono senza scrupoli. Abbiamo lavorato moltissimo per ricostituire i nuclei familiari”.

Diceva della maternità surrogata…
“Accadeva nelle famiglie ricche. Il marito pagava una qualche ragazza sfortunata, la metteva incinta, poi questa scompariva, l’uomo riconosceva il bambino, in tribunale la moglie chiedeva l’adozione del figlio del marito…”.

Stepchild adoption di fatto.
“Più o meno. Ma non sono storie di ieri. E ancora oggi abbiamo notizie di compravendite”.

Però i bambini stanno meglio.
“Verso i bambini c’è più rispetto, e la grande differenza è che oggi la Giustizia li ascolta. Prima quasi mai venivano creduti. Le vittime venivano messe a confronto con chi le aveva violentate. Per paura molte ragazze ritrattavano. Una mi disse che scagionava il padre colpevole perché non voleva più vederlo”.

Gli abusi sono diminuiti?
“C’è un’attenzione enorme. Ma gli abusi non sono diminuiti. Anzi, oggi i bambini sono addirittura più soli e più esposti”.

Erano meglio le famiglie numerose?
“Senza dubbio”.

Lei ha tre figli, un marito e nipoti. È stata dura conciliare?
“Sì, ma non ci avrei mai rinunciato”.

Un ricordo forte?
“Era il 1989. Francesco, un bambino focomelico senza braccia e gambe, abbandonato da una ricca famiglia napoletana in ospedale. Misi un annuncio su Famiglia Cristiana per trovargli dei genitori. Lo adottò una coppia del Nord che aveva già una figlia disabile. Ricordo quando incontrò papa Wojtyla. Un’emozione enorme. E poi un padre camorrista”.

Ne avrà conosciuto più d’uno.
“Disposi l’allontanamento dei suoi figli. Credo che mi abbia odiato con tutto se stesso. Dopo vent’anni mi scrisse dal carcere ringraziandomi perché i ragazzi si erano salvati”.

Gli errori.
“Più che errori rimpianti. Per quei ragazzi che non sono riuscita a fermare prima che finissero male”.

Nel 2001 diventa presidente della Commissione adozioni internazionali.
“Anni bellissimi. I Paesi stranieri ci spalancavano le porte. Vado ancora fiera dell’accordo che riuscii a fare con il Vietnam. Portai in regalo decine di cd con le canzoni napoletane”.

Oggi l’adozione è in crisi.
“Spesso dall’estero arrivano ragazzi con seri problemi. Noi assistiamo al dramma delle restituzioni. Il 10% delle adozioni. Una sconfitta”.

Finiscono negli istituti?
“Sì, e non sempre in luoghi adeguati. Ne ho chiusi diversi”.

Il famoso brefotrofio dell’Annunziata a Napoli.
“Era 1986, un’altra era. I piccoli venivano lasciati nelle culle con i biberon legati alla bocca… Ma di recente ho dovuto chiudere un altro posto terribile, vicino a Frosinone. Però siamo riusciti a far adottare in Italia molti ragazzi anche grandicelli”.

Si è schierata per il diritto alla conoscenza delle origini degli adottati.
“Conoscere la pianta da cui si proviene infatti è un diritto”.

Sta per uscire a fine gennaio

un suo libro per la casa editrice Laterza.
“La mia vita di giudice in 15 storie”.

La famiglia italiana può farcela?
“Le famiglie dovremmo dire. Sì. Purché la società ne accetti la metamorfosi”

di Maria Novella De Luca – Fonte

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