Sono passati due anni dalle manifestazioni di piazza Maidan, seguite da una lunga ondata di scontri e violenze, che nel febbraio 2014 costrinsero alla fuga il presidente ucraino (filorusso) Viktor Janukovyc. Quando il 30 settembre scorso la Russia ha cominciato i suoi raid aerei sulla Siria, l’Ucraina era ancora in cima alla lista delle preoccupazioni della diplomazia internazionale, a causa dei fantasmi della Guerra Fredda che la crisi pareva evocare.

A distanza di alcuni mesi, scontri e bombardamenti sono diminuiti di molto, quasi per sfinimento. Non è scoppiata la pace; i separatisti temono molto che la Russia, impegnata nel mantenere il ritmo della guerra aerea in Siria contro gli oppositori di Assad, li abbandoni, mentre tra i volontari di Kiev è scemata l’aura di eroismo patriottico che una volta teneva alto il morale e comincia perfino a serpeggiare il sospetto che il governo li abbia in qualche modo traditi.

Nel mese di gennaio, la missione di monitoraggio delle Nazioni Unite ha registrato 15 feriti e un morto tra le vittime civili nella zona orientale. A metà febbraio, quando tre soldati ucraini sono stati uccisi e sette feriti, il Governo ha accusato i filorussi di aver violato il cessate il fuoco 79 volte in 24 ore.

Intanto a Kiev è in corso una seria crisi politica. Il 3 febbraio il ministro dell’Economia Aivaras Abromavičius si è dimesso, accusando senza mezzi termini la cerchia del presidente Petro Porošenko di essere corrotta e di ostacolare sistematicamente le riforme, in un Paese che da anni Transparency International conferma come il più corrotto d’Europa. Per i suoi critici, il presidente, eletto a larga maggioranza nel maggio 2014, ha ricostruito uno Stato dominato dagli oligarchi.

In ogni caso, l’Ucraina e i suoi guai sono sempre lì, ma non sono più una priorità della politica internazionale. Secondo l’Unicef, la situazione più grave è quella dei 580 mila bambini che vivono nelle aree sotto il controllo dei separatisti da Kiev o comunque vicino alle linee del fronte. «Di questi», spiega Giovanna Barberis, rappresentante in Ucraina dell’Agenzia per l’Infanzia delle Nazioni Unite, «200 mila hanno bisogno di supporto psicologico, poiché le loro vite sono segnate da due anni di violenze, bombardamenti e paura».

L’anno scorso, più di venti bambini sono stati uccisi per i combattimenti, mentre mine e ordigni inesplosi hanno causato altre 28 vittime.

Oltre 215 mila bambini sono sfollati in altre zone del Paese, ospitati da parenti o in alloggi di fortuna affittati a prezzi esorbitanti. Diversi abitanti delle zone favorevoli a Mosca hanno scelto di partire per la “madrepatria”: nei primi sei mesi del 2015 la Russia è stato il secondo Paese al mondo con il maggior numero di richieste di asilo (100 mila, quasi tutti ucraini), dopo la Germania (159 mila).

Almeno una scuola su cinque è stata danneggiata o distrutta, ci sono bambini affetti da Hiv che hanno ormai i farmaci antiretrovirali solo grazie all’Unicef, diverse medicine si trovano solo alla borsa nera, mentre i danni alle infrastrutture di base stanno mettendo a rischio la fornitura d’acqua per due milioni di persone nella zona del fronte.

La guerra si conferma la madre di tutte le povertà: l’ultima emergenza è un’epidemia di polio, scoppiata a distanza di 19 anni da quando l’Ucraina era stato dichiarata “libera dalla polio”; l’Unicef ha fatto arrivare 4,7 milioni di vaccini, che si aggiungono ai kit scolastici e per l’igiene personale, e sta svolgendo una campagna nelle diverse zone del Paese. «Chiediamo a tutte le parti in conflitto», continua Barberis, «di garantire spostamenti sicuri e un accesso umanitario senza ostacoli per aiutare i bambini in difficoltà».

Mentre le temperature sono scese a meno venti gradi, la scarsità di carbone e i prezzi alle stelle creano ulteriori difficoltà. Problemi di riscaldamento ci sono anche nella vicina Crimea, la penisola che nel marzo 2014 si è staccata dall’Ucraina per unirsi a Mosca con un referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale. Qui, la morte a novembre di tre cuccioli di leone, uccisi dal freddo dopo un sabotaggio alle linee elettriche, è stata per molti la conferma simbolica di come la penisola sia sempre più isolata, la povertà non sia diminuita e sia svanita l’euforia indipendentista del 2014. Da dicembre, da quando il Parco di Taigan ha chiuso per protesta per la morte dei cuccioli, le autorità di Sinferopoli, capitale della Crimea, non possono più neppure vantarsi della “più grande collezione di leoni d’Europa” (oltre 70, oltre a decine di tigri, puma e leopardi).

di Stefano Pasta – Fonte

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