Se c’è un luogo privilegiato per capire l’evoluzione della famiglia, quello è il Tribunale per i minorenni. Melita Cavallo ne è convinta: da giudice, ci ha passato la vita, prima Milano, poi Napoli, fino a presiedere quello di Roma. Ma non è stata soltanto osservatrice, perché alcune sue sentenze hanno contribuito ai grandi cambiamenti sociali. Basta pensare ai pronunciamenti che negli ultimi anni hanno consentito l’adozione di un bambino da parte della compagna della madre. «A volte», dice, «i magistrati colgono le trasformazioni prima di altri, spesso prima del legislatore».

A quali passaggi ha assistito in oltre 40 anni di giustizia minorile?
«Si è passati da un prototipo unico a tanti tipi di famiglia. Nel tempo si è attenuata sempre più la riprovazione sociale verso chi non aderiva a quel prototipo e oggi la collettività è più aperta alle famiglie ricomposte, allargate, miste, omosessuali».

 Da pochi mesi è in pensione: tra i casi che ha affrontato, quali sono quelli che l’hanno maggiormente colpita?
«Porto nel cuore i casi più tragici. A volte i ragazzi vengono travolti dal conflitto dei genitori, sono strattonati, esclusi da ogni attenzione affettiva, talmente avvelenati nell’anima da preferire il suicidio. Ricordo, e mi domando se si poteva fare di più».

Avrebbe potuto?
«No. Però ho cercato sempre di lanciare appelli umani, chiedendo ai genitori: volete davvero continuare a esacerbare questo conflitto fino a distruggere vostro figlio? A volte ha funzionato».

Fra tribunali e Commissione per le adozioni internazionali, che ha diretto a lungo, quali sono state invece le sue maggiori soddisfazioni?
«Per me era un successo ogni volta che riuscivo ad affidare un bambino a una buona famiglia, perché l’obiettivo del giudice minorile è sempre l’interesse superiore del minore. Ogni tanto mi capita di incontrare per strada uno di quei bimbi ormai diventato adulto, e mi ringrazia. Ho anche ricevuto tanti messaggi di gratitudine».

Può raccontarne uno?
«Alla fine del 2015 mi ha scritto un padre divorziato al quale, circa 20 anni prima, avevo affidato le figlie. Mi raccontava di come le sue ragazze fossero diventate donne felici e di successo, e allegava anche la lettera di una di loro, che lo ringraziava per la dedizione. Per me è stata una enorme gratificazione. Così come mi capita quando le coppie che hanno adottato bambini gravemente disabili, e me ne sono capitate tante, continuano ad aggiornarmi sui progressi dei loro figli».

Che cosa pensa della legge sulle unioni civili che sta per avviarsi al voto finale?
«È una buona legge, anche se è stata stralciata l’adozione del figlio del partner. L’Italia aspettava con ansia una norma che ci allineasse all’Europa occidentale. Credo che abbia quasi lo stesso peso della riforma del diritto di famiglia degli anni Settanta, quando la donna conquistò la parità in ambito familiare e divenne possibile riconoscere un figlio nato fuori dal matrimonio. Adesso sono finalmente riconosciuti i diritti delle famiglie non tradizionali».

Non per quanto riguarda l’adozione del figlio del partner in coppie omosessuali.
«Credo che sia abbastanza possibile arrivarci in tempi brevi. Va spiegato bene che si tratta di bambini già nati, amati e accuditi da quella coppia che i bambini, a loro volta, amano».

Qual è il suo punto di vista sulla maternità surrogata?
«Non si può annullare né vietare la realtà. Le biotecniche esistono e si miglioreranno sempre di più: perciò bisogna regolamentare il fenomeno rigorosamente, servono paletti chiari».

È una questione che riguarda in maniera più evidente le coppie maschili.
«La Corte europea per i diritti dell’uomo ha già stabilito che una coppia di uomini con bambini deve essere riconosciuta come tale. Sempre che la gestazione per altri sia stata portata avanti nei Paesi dove è legale e totalmente garantita, come il Canada».

di Daria Gorodisky – Fonte

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