Sono almeno dieci i bambini assegnati dal Tribunale minorile di Goma in Congo all’Italia senza i requisiti fondamentali per l’adozione: non sono mai stati abbandonati dalle loro famiglie e nemmeno erano orfani. Lo ammette Bénédicte Masika Sabuni, direttrice dell’orfanotrofio che riforniva anche “Aibi-Amici dei bambini”, l’associazione di San Giuliano Milanese autorizzata per le adozioni internazionali. «Stavo prendendo bambini dappertutto», rivela la direttrice, «senza sapere chi erano o da dove venivano». La mamma di tre di loro, Aline, Alice e il fratellino Alliance, li sta cercando disperatamente. Ma non ha possibilità economiche per incaricare un avvocato e far valere i suoi diritti: «Madame Bénédicte ci ha detto che prendevano in consegna i nostri figli per educarli. E ci hanno promesso che quando avranno 17 o 18 anni, noi potremo rivederli. Questo era il nostro accordo». I tre piccoli abitano già con i loro genitori adottivi italiani, ignari del raggiro: sono arrivati a Roma nella primavera del 2016 grazie a sentenze esecutive emesse a Goma che invece ne dichiaravano l’adottabilità perché orfani o abbandonati.
La confessione è stata mandata in onda domenica sera, ora di Miami, dalla tv americana Fusion.net. La direttrice è stata intervistata dall’inviata Nelufar Hedayat in una drammatica puntata della serie “The Traffickers”, i trafficanti. Masika Sabuni conferma davanti alla videocamera quanto ha scritto “l’Espresso” nell’inchiesta di copertina “Ladri di bambini” pubblicata nel luglio 2016. In realtà, l’intervista tv è precedente. Risale alla scorsa primavera: la responsabile dell’orfanotrofio parla con tranquillità, non immaginando che di lì a pochi mesi sarebbe scoppiato lo scandalo. Nella parte mandata in onda la donna rintracciata a Goma, la città sul lago Kivu al confine con il Ruanda, non nomina mai Aibi. Ma davanti ai genitori disperati di Aline, Alice e Alliance che rivogliono i loro figli, dice di averli trasferiti all’orfanotrofio “Ange Gabrielle” di Kinshasa: si tratta della casa-famiglia finanziata da Aibi con il supporto di Alessi, la famosa fabbrica di design, ovviamente all’oscuro delle irregolarità nelle procedure di adozione. In fondo a questo articolo, le dichiarazioni integrali della direttrice Bénédicte Masika Sabuni.
Marco Griffini, 69 anni, presidente e fondatore di Aibi, proprio in questi giorni, attraverso due suoi avvocati ha citato in Tribunale “l’Espresso” e chi scrive pretendendo un risarcimento complessivo di venti milioni di euro. Griffini sostiene di essere stato accusato ingiustamente di: corruzione di un giudice congolese, favoreggiamento di trafficanti di bambini, false dichiarazioni rivolte a pubblici ufficiali, sequestro di minori, concorso in arresti illeciti e torture. Sulla base dell’atto di citazione milionario, Griffini sta velatamente alludendo di portare a giudizio anche i genitori adottivi che hanno commentato gli articoli e chiedono giustamente trasparenza, il minimo che possano fare: «Loro sono dei moltiplicatori di risorse per il nostro fondo»scrive il presidente di Aibi la sera del 7 novembre sulla sua pagina Twitter @aibipres.
Le varie puntate della nostra inchiesta “Ladri di bambini” non hanno mai attribuito ad Aibi i reati che Griffini elenca. Hanno invece raccontato come i vertici dell’associazione, a cominciare da Valentina Griffini, la figlia responsabile delle attività in Africa, abbiano omesso di denunciare e sostenuto una versione non vera sulla scomparsa dall’orfanotrofio diretto da Bènédicte Masika Sabuni di quattro bambini adottati da coppie italiane, ignare delle irregolarità. Le email interne di Aibi confermano che gli operatori sapevano che i piccoli erano stati ripresi con la forza dalle loro famiglie che non li volevano cedere: quindi non erano adottabili. Ma ai genitori in Italia e alla Commissione per le adozioni internazionali, cioè l’autorità governativa di controllo, il presidente Griffini, la figlia e i loro più stretti collaboratori hanno dichiarato che i bimbi erano stati rapiti da un commando armato di guerriglieri. Versione concertata in una riunione avvenuta a Goma nello studio dell’avvocato di Aibi, Martin Musavuli, tra il legale, il presidente del Tribunale per i minorenni Charles Wilfrid Sumaili, l’inviato di Aibi e cittadino italiano Eddy Zamperlin e, appunto, la direttrice dell’orfanotrofio Bénédicte Masika Sabuni.
Quando la scorsa primavera Nelufar Hedayat e la troupe di Fusion.net volano a Goma per seguire la rotta delle adozioni verso gli Stati Uniti, incontrano l’interprete Jack. E da lui raccolgono le voci su Bénédicte e la storia mai raccontata dei tre piccoli sottratti, come altri, con la scusa di farli studiare in Italia. Così come era accaduto ai protagonisti della nostra inchiesta “Ladri di bambini”: Mirindi, 6 anni, assegnata a una coppia di Pisogne, in provincia di Brescia; Melanie, 10 anni, a una famiglia di Cosenza; Aimé, 6 anni, ai nuovi genitori a Roma; Nicole, 6 anni, a una coppia di Casorate Primo, nel Pavese e Martine, 6 anni, a una famiglia in provincia di Venezia. Bimbi mai arrivati a destinazione, per la reazione delle loro famiglie naturali che se li sono ripresi. Mentre i genitori adottivi italiani stanno ancora aspettando da Aibi la verità.
Le inchieste giornalistiche sulla rete in Congo di procacciatori di bambini (chiamiamoli così) che rifornivano Aibi adesso sono due: due indagini indipendenti, condotte da giornalisti che non si conoscevano, che negli stessi mesi, partendo da luoghi lontanissimi del pianeta, hanno portato alle medesime persone. Nel suo atto di citazione Griffini rivela che alla sua associazione cominciano ad arrivare le prime disdette: Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite, ha ritirato un finanziamento di oltre 245 mila euro. Via anche la multinazionale Henkel, che affiancava Aibi nelle scuole. E si allontanano contribuenti privati e testimonial, come la showgirl Melissa Satta che ha cancellato la campagna pubblicitaria prevista dal 17 settembre al 3 ottobre 2016.
Resta qualche agghiacciante domanda, di cui Griffini sicuramente non conosce la risposta. Ma Madame Bénédicte forse sì. Non si può dire che in una zona di conflitti, come la regione di Goma, manchino orfani: perché allora far adottare con l’inganno bambini che hanno i genitori? In altre parole: gli orfani veri dove finiscono?
di Fabrizio Gatti – Fonte