I costi sono ormai insostenibili, come lo sono i tempi d’attesa. L’età media dei bambini è cresciuta, ma è salita (e non di poco) anche quella delle coppie aspiranti. Le risorse dei servizi sono sempre meno e i cosiddetti fallimenti sono cresciuti. Questo è forse il dato più «destabilizzante» per istituzioni e servizi. Adozioni: è crisi anche in Emilia-Romagna, che non si discosta dal panorama nazionale in questa fotografia di un mondo ancora poco conosciuto, spesso edulcorato.
IL DOSSIER DELLA REGIONE – Oltre a curare le ferite profonde dei bambini che aspettano una famiglia, ci si trova a dover curare un sistema che inizia a dare segnali di fatica. Che si tratti di adozioni internazionali o nazionali, poco cambia. Il dossier realizzato dalla Regione su 10 anni di adozioni in Emilia- Romagna, usato come riferimento anche dal Tribunale dei minori, evidenzia come, per quanto riguarda le adozioni dall’estero, rispetto al quadro internazionale in regione la diminuzione delle adozioni è ancora più consistente, attestandosi al -35,7% tra il 2011 e il 2013. Una flessione confermata dai dati della Città metropolitana: erano 75 i bimbi arrivati nel 2004, calati a 49 nel 2010, scesi a 38 nel 2014. Nel capoluogo la situazione non è dissimile: nel 2010 erano 20 i bimbi adottati dall’estero, saliti a 32 nel 2011, un numero poi crollato tra il 2013 e il 2015, quando ne sono arrivati 12. In calo anche le adozioni nazionali. Nel 2013 sono stati poco oltre 1.000 i bambini adottati con sentenze dei Tribunali dei minori: 55 in Emilia- Romagna dove il tasso di adozioni nazionali (7,7% per 100 mila minorenni) è inferiore alla media nazionale (pari a 9,9) e in calo di un punto rispetto al 2012. Solo a Bologna i minori italiani dati in adozione sono passati, secondo i numeri forniti dal Centro per le famiglie di via del Pratello, dai 10 del 2010 ai 3 del 2015. «In Italia — spiega Chiara Labanti, responsabile del Centro per le famiglie dell’Asp — ci sono pochi bambini dichiarati adottabili, perché il più possibile si cerca di mantenerli nel loro contesto familiare».
GLI SPECIAL NEEDS – Mentre «sulle adozioni internazionali — spiega Gino Passarini, responsabile del Servizio politiche familiari della Regione — sicuramente ha inciso la crisi economica che ha limitato le disponibilità delle famiglie. Ma c’è anche una lettura positiva: i bambini stranieri vengono adottati di più nel loro Paese. I minori che arrivano qui invece sono sempre più quelli che chiamiamo special needs». Cioè gravemente malati e già grandi. «Ormai la media d’età dei minori che arrivano da fuori è di 6 anni — spiega Tiziana Giusberti, coordinatrice dell’equipe adozioni e affidi per la Psicologia dell’Ausl —, il che vuole dire che arrivano anche ragazzini di 12- 13 anni». Un’età che spaventa gli aspiranti genitori. Tanto che in Emilia-Romagna si è registrato un notevole calo negli accessi dei coniugi al primo colloquio informativo, quasi dimezzatisi dagli 834 del 2004 ai 465 del 2013. Solo a Bologna le coppie che hanno sospeso l’indagine psicosociale preadottiva sono state 42 nel 2014, più che raddoppiate rispetto al 2004. «Eppure — continua Giusberti — bisogna sfatare il pregiudizio secondo cui il bambino molto piccolo sia più facile rispetto a quello grande se adottato. Molti problemi in realtà emergono in seguito». Fatto sta che i casi di «fallimenti adottivi» rischiano di esplodere.
I FALLIMENTI ADOTTIVI – In Emilia-Romagna tra il 2006 e il 2014 ne sono stati registrati 66: 8 nel corso del primo anno di adozione e 58 dopo il primo anno. E si è saliti da un tasso dell’1,85% di fallimenti nel 2006 al 7,1% del 2014. La crisi in genere scoppia durante l’adolescenza. «Le difficoltà sono oggettive — ammette Alberto Pezzi, presidente regionale dell’associazione Famiglie per l’accoglienza — : ci sono minori che arrivano tra gli 8 e i 12 anni dopo molto tempo in orfanotrofio, l’inserimento è duro. Bisogna lavorare meglio sulla formazione pre-adottiva, ma soprattutto sul post-adozione, le coppie non devono restare sole. In questo momento stiamo seguendo 5 casi di rischio di fallimento ». È proprio sul postadozione che si stanno interrogando i servizi sociali. «Io lo so così bene che a Casalecchio — dice Giusberti — ho fondato il servizio Adozione Affido Accoglienza e seguo 6 gruppi in post-adozione da molti anni. Bisogna esserci molto, quando arriva il bambino, oggi più che mai vista la complessità dell’adozione e dei minori». Il post-adozione «istituzionalizzato» di Casalecchio è l’unico caso in Italia. «Il che la dice lunga su quanto ancora ci sia da fare», ammette Giusberti. «Ma è la strada giusta — dice Sara Costanzo Naso, referente casalecchiese dell’associazione. – Ci vuole un villaggio che lavora a fianco dei servizi: da noi non ci sono casi di fallimenti, il lavoro che stiamo facendo dà i suoi frutti. E sono nate delle storie d’amore meravigliose tra noi e i bimbi».