«La gioia della gioia di un bambino ti fa superare ogni paura». È un papà di un bimbo cinese che ha detto questa frase e che si è definito «mezzo cinese, come mio figlio è mezzo italiano». A Torino, le adozioni internazionali sono in aumento, anche se di poco, ma in controtendenza con il resto d’Italia dove da anni si registra un calo molto significativo. I dati per l’anno che si è appena chiuso – per ora solo di tre grandi associazioni Cifa, Arai e Naaa – e sommati parlano di un bambino straniero al giorno che arriva nelle famiglie piemontesi e per la maggior parte torinesi. Un nuovo figlio, perché un’adozione è un vero e proprio «parto», non solo per l’emozione di madri e padri, ma molto spesso per la fatica e l’impegno che comporta. A Torino tra le grandi associazioni che aiutano le famiglie a diventare più numerose ci sono Cifa (che è quella che ogni anno fa arrivare centinaia di bambini, a Torino dal 1980), Naaa (Network, aiuto, assistenza, accoglienza con sede a Ciriè) e Arai che è di fatto un ente pubblico: l’Agenzia regionale per le adozioni internazionali.
Riorganizzazione «La nostra agenzia ha aumentato il numero di adozioni perché in realtà le famiglie chiedono l’intervento di un servizio pubblico». Anna Maria Colella è la direttrice dell’Arai che racconta come «l’agenzia regionale ha avuto richieste anche da altre città fuori regione, anche dal Sud. Quello che serve e che diciamo da tempo, insieme alle altre associazioni che si occupano di adozioni, è che serve una riorganizzazione: 62 enti sono troppi». Gli «enti» sono appunto le associazioni che accompagnano le coppie nel difficile e costoso percorso di adozione internazionale, ogni ente «prende in carico» una coppia per un percorso che prevede diversi spostamenti nel paese dove vive il bambino. «Un servizio come il nostro può garantire l’assistenza qui in Italia, e va garantito un servizio pubblico alle nazionale o regionale – spiega Colella -. Il problema a volte è che le coppie si trovano ad affrontare problemi per l’inserimento al ritorno, è qui che dobbiamo predisporre più aiuti alle coppie adottive. Per l’inserimento a scuola per esempio, o per i problemi sanitari». Alcuni bambini infatti hanno problemi lievi, altri invece vengono posti in adozione nei Paesi stranieri con gravi patologie, e i genitori adottivi non lo sanno in anticipo. «Ci sono coppie che non sono preparate ad affrontare grandi difficoltà come la malattia grave di un figlio e in questo si deve predisporre assistenza – insiste Colella -. Ma in questo momento non ci sono fondi, il problema è sempre lo stesso: quello della spending review».
Accoglienza «Torino è da sempre una città molto accogliente per le famiglie adottive, di un’accoglienza molto sabauda, ma che non vuol dire fredda». Gianfranco Arnoletti presidente di Cifa e padre adottivo racconta come anche in Italia la crisi del lavoro abbia portato la diminuzione delle adozioni fino all’anno scorso. «Il problema non sono i soldi per il percorso adottivo – racconta -, ma le famiglie temono il futuro. L’incertezza del lavoro si tramuta in incertezza sul futuro». Ma anche Cifa come registra un lieve incremento rispetto al 2014. I Paesi dai quali arrivano i nuovi bambini torinesi sono soprattutto cinesi, la Cina ha aperto le frontiere alle adozioni internazionali nel 2009 con procedure tutt’altro che semplici. «La Russia invece sta riducendo le possibilità di adozioni – spiega Arnoletti -, ci sono in adozione solo bambini con grandi difficoltà. Ma quello che manca in Italia è una seria legge sulle adozioni, in un mondo che si evolve abbiamo leggi immobili nel settore». Per esempio? «Perché non dare la possibilità di adottare alle coppie di fatto e ai single. È meglio lasciare un bambino solo?».
di Antonella Mariotti – Fonte