Chiedono i parlamentari: ci sono associazioni italiane coinvolte in traffici di bambini, ci sono stati traffici di minori con il Congo? «Ci sono stati, purtroppo ci sono stati», risponde la vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali (Cai), ilmagistrato Silvia Della Monica: «Le famiglie sono disperate. E si rivolgono a noi chiedendo al governo di essere aiutate». È uno dei momenti più drammatici dell’audizione di mercoledì pomeriggio davanti alla commissione Giustizia della Camera. Un confronto durato oltre due ore, un’ora in più del previsto, in cui Della Monica ha anche denunciato lacampagna di aggressione e delegittimazione messa in campo dall’associazione Aibi (più volte citata) di Marco Griffini, 69 anni, famoso imprenditore della solidarietà. E ha confermato quanto “l’Espresso” ha raccontato nell’inchiesta “Italiani ladri di bambini”: «L’inchiesta pubblicata sull’Espresso riporta fatti gravissimi di cui la Commissione per le adozioni internazionali è pienamente consapevole. Il tentativo di banalizzazione o anche l’atteggiamento negazionista non risponde alla priorità di chiarezza e di sostegno all’ineludibile azione di pulizia che deve essere necessariamente portata fino in fondo e che io intendo portare fino in fondo, in ragione dei miei doveri d’ufficio, della mia storia personale. Ma soprattutto in ragione della tutela del governo italiano».
LE INCHIESTE IN CORSO
«Capisco che le famiglie siano smarrite di fronte a quanto hanno subito da parte di alcuni enti: di un ente in particolare che è sotto inchiesta da parte della Commissione e anche sotto inchiesta di carattere penale per fatti molto seri, dei fatti gravissimi. Io mi interrogherei anche: ma se questi fatti sono veri, e la Commissione per le adozioni ha preso atto di fatti gravissimi, è giusto che si possa andare avanti in un sistema di questo tipo?», chiede Silvia Della Monica ai deputati: «Non stiamo parlando solo di Congo. Stiamo parlando di fatti molto gravi avvenuti in altri Paesi. Recentemente la Corte europea dei Diritti dell’Uomo è intervenuta per quanto riguarda la situazione in Bulgaria, in cui si parla di abusi da parte di pedofili» su bimbi poi adottati attraverso Aibi in Italia.
AIBI E LE ACCUSE INVENTATE
«La Commissione per le adozioni internazionali ha preso in carico 50 procedure adottive in Congo, sei delle quali con genitori disperati per non avere più i propri figli. Tutte le famiglie (italiane) che hanno revocato l’incarico all’ente, hanno chiesto di essere tutelate dal governo italiano. Tutte hanno diffidato l’ente Aibi», spiega Della Monica, «dall’interferire nelle loro procedure adottive. E mentre la Commissione lavorava per risolvere questa delicatissima situazione, altri hanno lavorato per impedire invece una felice soluzione utilizzando a tal fine qualsiasi mezzo. A cominciare da una sistematica campagna mediatica di delegittimazione della Commissione e degli enti che in quel momento stavano aiutando la Commissione a portare a compimento queste procedure adottive così delicate. Vorrei ricordare che un sacerdote molto stimato in Congo è stato accusato di rapimento inesistente di bambini. Noi abbiamo avuto un’azione sistematica nei confronti di questa persona, mentre le loro famiglie adottive disperate dicevano: nessuno ha rapito i nostri figli. Altrettanto è accaduto per quanto riguarda un altro ente accusato di avere commesso traffici inesistenti di minori, sostenendo addirittura che questi bambini erano stati trasferiti irregolarmente in Italia».
BIMBI SOTTRATTI ALLE LORO FAMIGLIE
«Sin dal maggio 2014, mentre arrivavano i primi 31 bambini dal Congo, mentre si intensificavano le relazioni con tale Paese per addivenire alla soluzione della moratoria», riferisce la vicepresidente della Cai, «ci siamo trovati di fronte alla denuncia da parte di famiglie interessate di fatti che si sono delineati a breve come gravissimi e hanno posto la Commissione di fronte alla necessità, non solo di portare avanti con decisione e fermezza l’attività di indagine su tali gravi fatti e di tutelare le famiglie e i minori coinvolti, ma anche di porre in essere ogni cautela per evitare che tale situazione si riverberasse negativamente sulla soluzione della crisi in Congo: rischiando di travolgere non solo la posizione dell’Italia, cioè i 181 minori adottati dalle famiglie italiane, ma anche quelli degli altri Paesi coinvolti, cioè oltre 1500 minori adottati da famiglie di altri sette Paesi. Voi potete immaginare quale sarebbe stato il riflesso in sede internazionale. Innanzitutto i bambini non sarebbero più arrivati. In secondo luogo avremmo dovuto parlare in Commissione di questo, con la presenza del controllore-controllato poiché l’ente Aibi esprimeva direttamente in commissione un proprio rappresentante. Facendo parte del Forum delle associazioni familiari e del direttivo del Forum delle associazioni familiari, (Aibi) avrebbe dovuto essere presente in un momento in cui c’era un’indagine di carattere amministrativo e un’indagine di carattere penale».
I PICCOLI IN OSTAGGIO IN CONGO
Della Monica ha ringraziato le famiglie adottive italiane e gli enti che si sono schierati dalla parte della legalità e che nell’anno e mezzo di difficili trattative hanno pazientemente atteso la liberazione di tutti i loro figli, illegalmente trattenuti negli orfanotrofi legati ad Aibi e a Marco Griffini in Congo. «Non vorrei dimenticare», continua la vicepresidente della Cai, «quanto siano gravi le condizioni in particolare nel Nord Kivu da cui venivano tanti bambini che sono stati adottati da famiglie italiane e che per ragioni, che sono oggetto di un’indagine approfondita da parte della Commissione e che è stata sottoposta anche alle autorità competenti nelle sedi penali, sono stati illecitamente trattenuti a danno del loro superiore interesse e contro la volontà delle loro famiglie». Mentre, secondo il magistrato Silvia Della Monica, Aibi ostacolava l’arrivo dei bambini adottati in Congo, altri enti amici accusavano le autorità della Bielorussia mettendo in pericolo le procedure di adozione verso l’Italia attualmente in corso per centotrenta bambini: «Le autorità bielorusse si dichiarano sbalordite dell’arroganza di enti italiani, che considerano soggetti privati sottoposti al controllo del governo italiano. Solo gli ottimi rapporti tra la Bielorussia e la Cai hanno scongiurato un nuovo blocco delle adozioni. Abbiamo ricevuto proteste formali scritte delle autorità bielorusse, come proteste formali abbiamo ricevuto dalle autorità della Repubblica Democratica del Congo». Proteste che hanno reso necessarie «lunghe negoziazioni per far comprendere che l’autorità centrale italiana era ben consapevole dell’importanza del lavoro che gli stessi Paesi di origine stavano svolgendo. E che era un lavoro finalizzato ad evitare che si verificassero traffici di minori».
I DEPISTAGGI IN PARLAMENTO
Durante l’audizione davanti alla commissione Giustizia della Camera è stato denunciato anche il ruolo che Aibi ha avuto nell’indirizzare l’attività di alcuni parlamentari: «Credo che sarà possibile fare chiarezza rispetto a tutta una serie di notizie e di affermazioni non corrette che sono state veicolate in più sedi anche autorevoli, come quella parlamentare, di cui io ho un grandissimo rispetto, in maniera strumentale e da parte di alcuni con un esclusivo obiettivo di delegittimare l’azione della Commissione per le adozioni internazionali, anche per distogliere l’attenzione da fatti gravi e per contrastare una decisiva azione di legalità intrapresa in questi due anni che ha prodotto un cambio di passo della Commissione adozioni internazionali». Sarebbe invece urgente una nuova norma che limiti la durata dell’autorizzazione che il governo affida agli enti privati come Aibi per accompagnare le famiglie nei procedimenti di adozione internazionale e per rappresentare lo Stato italiano all’estero: «Gli enti non possono avere un’autorizzazione perenne», osserva Della Monica: «Non è possibile che l’autorizzazione duri fino alla revoca, che non comporti possibilità di una sospensiva. Tutto questo metterebbe anche gli enti in una diversa ottica. Oggi ci sono garanzie giuste nei confronti degli enti, ma non giuste nei confronti delle famiglie».
FINANZIAMENTI SENZA CONTROLLO
«Devo ribadire con forza la questione delicatissima della presenza di conflitti di interesse in un organo di vigilanza e controllo», aggiunge il magistrato Della Monica, aprendo un altro capitolo. Riguarda il “Forum delle famiglie”, associazione presente per legge all’interno della Commissione per le adozioni internazionali, che è la massima autorità di controllo del governo. Ma lo stesso “Forum delle famiglie” ha nel suo direttivo l’associazione Aibi, cioè un ente autorizzato dal governo e questo è vietato dalla legge. Da tempo cioè un ente controllato siede nella Cai che è l’autorità che lo controlla. Sarebbe bastato un passo indietro di Aibi e del suo presidente Marco Griffini con l’uscita dal “Forum delle famiglie” e la questione sarebbe risolta. Ma non è andata così. «Nella Commissione siedono controllori e controllati», denuncia la vicepresidente della Cai. Così «la presenza nella Commissione di coloro che surrettiziamente rappresentano gli enti, perché sono espressi nel direttivo del Forum, finisce con il creare un problema di legittimità delle delibere. E come tale è stato posto il problema alla Commissione, chiedendoci addirittura di riesaminare le delibere che sono state emesse in precedenza, in quanto queste delibere sono andate a impattare su altri enti autorizzati che non sono rappresentati. E giustamente non lo dovrebbe essere nessuno in Commissione». Il magistrato spiega ai parlamentari che si tratta dei «cosiddetti progetti di sussidiarietà in relazione al fatto che ne sono stati approvati soltanto alcuni e non altri, soltanto alcuni riguardanti determinati enti, di cui uno rappresentato direttamente nell’ambito della commissione e rispetto al quale non c’è nessun controllo. Né da parte di una commissione esterna alla stessa Commissione per le adozioni internazionali come si fa normalmente quando si parla di un bando che deve distribuire soldi pubblici, né in una successiva attività di accertamentodella regolare esecuzione nel Paese estero delle attività che sono state finanziate con soldi pubblici. Tutto questo ha prodotto un’indagine seria per capire quanto fosse fondata la richiesta degli enti di rivalutare questa attività così delicata». Una situazione che impedisce al vertice della Cai di riunire i ventuno commissari perché qualunque loro atto potrebbe essere impugnato e dichiarato illegittimo. Tanto più che nella prima e unica riunione costitutiva della nuova Commissione, due anni fa, i commissari in palese conflitto di interessi autocertificavano il contrario: «Nella prima riunione della Commissione in cui si doveva discutere della legittimità della sua costituzione», denuncia ancora il magistrato Della Monica, «da parte di quegli stessi soggetti, che in modo conclamato avevano un conflitto di interessi, si assumeva di non avere conflitti di interessi e si firmava anche un documento nell’ambito del quale si asseriva qualcosa che non è assolutamente vero».
di Fabrizio Gatti – Fonte