Pistoia, dopo 14 anni arriva la sentenza di primo grado su una vicenda sconvolgente

PISTOIA. Ci sono voluti 14 anni, ma alla fine la giustizia ha messo un punto fermo (sia pure in primo grado) nell’incredibile vicenda del neonato ceduto dalla madre naturale ad una coppia di pistoiesi che voleva un figlio. Il processo di primo grado si è concluso con la condanna a sette anni per la madre naturale, una ballerina moldava  che aveva 25 anni all’epoca dei fatti, e per l’artigiano e l’impiegata (allora quarantenni) abitanti in un paese del Pistoiese, che pagarono per avere un figlio non loro. Il pm Claudio Curreli aveva chiesto per tutti e tre una pena di tre anni. Stralciata la posizione del quarto protagonista, il fidanzato e padre naturale del bambino, un moldavo con regolare permesso di soggiorno, che si è reso irreperibile.A decidere, il collegio formato dal giudice Luca Gaspari, a latere Patrizia Martucci edEmanuela Francini.

I tre condannati – nessuno di loro ha seguito il processo, nessuno vive più nel Pistoiese – sono stati anche condannati a risarcire insieme i danni provocati al piccolo, che oggi è un adolescente di 14 anni. La provvisionale è stata fissata in 40.000 euro, ma la questione dovrà poi essere definita con il processo civile. La lunghezza del processo è dovuta ai ripetuti cambi di collegio giudicante e alla difficoltà delle notifiche nei confronti degli imputati, irreperibili.

La terribile vicenda del figlio “comprato” era emersa nel febbraio 2001, quando la madre naturale, dopo aver ceduto il suo bambino alla coppia di pistoiesi per una somma di circa 50 milioni, tornò e lo riprese, pretendendo – per restituirlo – altri soldi e una casa. Lei disse che erano quelli gli accordi e che non erano stati rispettati. Ma la squadra mobile di Pistoia la arrestò per tentata estorsione. Della vicenda si occupò l’allora pm di Pistoia Ornella Galeotti.

Tutto era nato – secondo quanto emerse dalla conferenza stampa della Squadra mobile e dello stesso pm Galeotti – dall’accordo stipulato tra il padre naturale e quello fasullo (i due lavoravano insieme in un’azienda toscana). Sulla base di questo, la ragazza moldava, che era incinta e voleva abortire, venne invece costretta a desistere e si trasferì nella residenza della coppia pistoiese. Stava sempre in casa facendo attenzione a non farsi vedere dal vicinato. Nel frattempo,  la madre finta fece circolare in paese la voce di essere incinta e dopo pochi mesi cominciò a vestirsi con abiti molto larghi. Al settimo mese della mascherata gravidanza i tre si trasferirono in un residence fuori Pistoia e la moldava partorì in un ospedale toscano (dove il padre «adottivo» riconobbe ufficialmente il bimbo). Poi la coppia tornò a casa: con il neonato, ma non con la presunta colf moldava.

Quest’ultima si rifece viva pochi mesi dopo, irrompendo nella casa dei falsi genitori e riprendendo tra le braccia il piccolo («non vi avvicinate – urlò – altrimenti lo lascio cadere a terra e lo ammazzo»). Rifugiandosi poi in un albergo di Montecatini, da dove, con la probabile complicità di un giovane albanese che aveva conosciuto dopo aver rotto l’unione con il padre naturale, telefonò alla famiglia pistoiese chiedendo altri soldi. È a quel punto che la polizia, già da due giorni sulla pista della verità (grazie soprattutto alle testimonianze raccolte in paese), intervenne, scongiurando che potesse accadere qualcosa di molto grave al neonato. Quando gli uomini della squadra mobile fecero irruzione nell’albergo di Montecatini, la moldava stava nutrendo il piccolo con del latte intero a lunga conservazione e per giunta nemmeno riscaldato.

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