L’attuale Repubblica Democratica del Congo ha due primati, diciamo così politico-amministrativi. Ha cambiato diversi nomi: era il Congo Belga durante il colonialismo, poi è diventato il Congo, poi lo Zaire fino ad arrivare alla denominazione attuale. L’altro primato è che non ha mai avuto il piacere di assistere ad un normale e istituzionale passaggio di poteri dalla indipendenza – 55 anni fa – ad oggi.
Quest’ultimo primato rischia di mantenerlo anche nell’attuale contingenza politica. Kinshasa è ritornata ad una calma tesa, gravida di qualunque evoluzione, dopo due giorni di scontri nei quali sono rimaste uccise almeno cento persone. La polizia e le autorità hano ripreso il controllo della città e hanno promesso di individuare e arrestare i fomentatori delle proteste e anche di impedire loro di riparare all’estero chiudendo praticamente le frontiere.
Le proteste sono scoppiate contro quelli che gli oppositori del presidente Joseph Kabila considerano tentativi per ottenere un terzo mandato presidenziale, il secondo scade il prossimo 20 dicembre. In breve le proteste sono degenerate in scontri sanguinosi con la polizia.
La scorsa settimana, la commissione elettorale aveva presentato una petizione alla Corte costituzionale per rinviare le elezioni di novembre. A luglio a seguito di una causa intentata dal partito di governo, la Corte costituzionale aveva stabilito che Joseph Kabila può rimanere in carica se difficoltà logistiche avessero causato la posticipazione delle elezioni.
E un ritardo per tali motivi parrebbe probabile, visto che la commissione elettorale ha fatto sapere di non riuscire a terminare la registrazione di più di 30 milioni di elettori nella migliore delle ipotesi non prima di luglio 2017 a causa della rete dei trasporti e comunicazione tra le peggiori al mondo.
La costituzione vieta al presidente Kabila, al potere dal 2001 a seguito dell’assassinio del padre Laurent Kabila, di correre per un ulteriore mandato ma la commissione elettorale gli ha praticamente concesso la possibilità di rimanere al potere fino a metà dell’anno prossimo e, prima di quella data, magari fare una riforma costituzionale che gli consenta di ottenere un nuovo mandato.
Non è la prima volta che l’opposizione protesta in piazza, questa volta però sembra più agguerrita. Anche la repressione è sembrata ancora più determinata che in altre occasioni. In sostanza credo si possa dire che Kabila non se ne andrà, anche a costo di mettere a ferro e fuoco Kinshasa e il paese. Insomma nella Repubblica Democratica del Congo sembra profilarsi uno scontro frontale che, penso, alla fine sarà vinto dal presidente che non baderà a spese in termini di repressione, vite umane, distruzioni.
In tutto questo brilla la totale impotenza dell’Europa, dell’Occidente e di quelle potenze emergenti asiatiche che in questi anni hanno fatto affari d’oro in Congo grazie anche a quel presidente-dinosauro che ha amministrato concessioni e affari distribuendole un po’ a tutti. Risultato: di fronte all’ignoto, per tutti è forse che meglio che resti lui. Non riesco ad interpretare in altro modo la tiepidezza o addirittura il silenzio della comunità internazionale.
di Raffaele Masto – Fonte