«Si può risolvere solo ciò che si può misurare. Perché non dotare Milano di un Osservatorio permanente della dispersione scolastica che metta insieme Comune, scuole e terzo settore con finalità non solo di studio ma anche di proposta?»: lo ha proposto proprio ieri ai candidati sindaco di Milano l’ong WeWorld insieme alla rete Frequenza200. È uno dei problemi endemici delle azioni di contrasto alla dispersione scolastica: si continuano a fare sperimentazioni, senza mettere in rete le esperienze (ormai ne abbiamo tante e storiche, basti pensare a Chance e a Maestri di strada a Napoli, a Provaci ancora Sam a Torino, al Don Milani 2 di Exodus e alla rete Frequenza200), senza mai capire cosa funziona davvero e cosa no e soprattutto senza mai arrivare a un’azione strutturale.

Da ieri in questo scenario c’è una novità. Per la prima volta si è fatto un monitoraggio di un’azione piuttosto importante di contrasto alla dispersione scolastica, con 207 progetti (828 scuole e 51.116 studenti) accompagnati e valutati per due anni attraverso 30 indicatori di risultato, uguali per tutti: i risultati, raccolti nel “Rapporto di monitoraggio e analisi dei prototipi di intervento territoriale”, sono stati presentati ieri da Indire, in occasione dell’ultimo Comitato di Sorveglianza del Programma Operativo Nazionale “Competenze per lo Sviluppo” e “Ambienti per l’apprendimento”.

Di cosa si tratta

La ricerca prende in esame l’azione di contrasto alla dispersione scolastica precoce in aree territoriali a elevato rischio realizzata negli anni scolastici dal 2013/2014 e 2014/2015 nelle quattro Regioni dell’Obiettivo Convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia). Sono, per intenderci, i famosi “prototipi” lanciati da Marco Rossi Doria quando era sottosegretario all’Istruzione appoggiandosi anche al Piano Azione Coesione dell’allora ministro Fabrizio Barca, utilizzando anche fondi europei rigenerati.

In questo ambito, nelle quattro regioni coinvolte, sono stati realizzati 207 progetti, per un totale di 828 scuole coinvolte (564 scuola dell’infanzia e del primo ciclo e 282 del secondo ciclo). Il modello prevedeva la creazione di una rete sul microterritorio, per cui accanto alle scuole si sono messi in gioco altri 810 enti tra amministrazioni pubbliche (165), associazioni non profit (621) e cooperative (24). I progetti hanno coinvolto complessivamente 51.116 studenti: di questi 47.293 (il 92,5%) hanno portato a termine il percorso, frequentato tutte le attività previste (25.425 maschi e 21.868 femmine), mentre 3.823 (il 7,5%) hanno abbandonato i progetti. Nelle iniziative sono stati coinvolti 7.208 genitori (84% madri, 26% padri), 6.632 docenti e 176 operatori del personale non docente. Le reti di scuole coinvolte hanno scelto come elementi principali su cui intervenire la riduzione della disaffezione scolastica, delle ripetenze e il miglioramento delle competenze di base in italiano e matematica.

I risultati

Per rilevare il miglioramento raggiunto nei percorsi formativi sono stati scelti indicatori quantitativi, come la percentuale di assenza, il passaggio alla classe successiva, la votazione curricolare in italiano e in matematica. I miglioramenti più evidenti si sono verificati sul versante della frequenza scolastica:il 94,5% degli studenti monitorati non ha interrotto la frequenza scolastica e l’88,1% è passato alla classe successiva, rilevando una forte riduzione del rischio di abbandono scolastico dei ragazzi che hanno partecipato ai percorsi. Meno successo invece si registra in relazione agli indicatori che misurano l’aumento delle competenze di base (le valutazione nelle varie discipline non sono particolarmente migliorate) e all’ultimo posto si fermano gli indicatori che riguardano il coinvolgimento delle famiglie.

Questi prototipi, che hanno dato corpo alle intuzioni di Marco Rossi Doria, hanno funzionato, l’abbandono è diminuito: meno impatto c’è stato sull’innalzamento delle competenze di base, ma due anni sono pochi per valutare questo aspetto. La vera novità è che per la prima volta alle scuole è stato chiesto di utilizzare degli indicatori di risultato. Credo che questi prototipi possano essere presi a modello anche per i prossimi bandi PON sulla dispersione scolastica

Patrizia Lotti, ricercatrice Indire

L’analisi

Patrizia Lotti è la ricercatrice Indire che ha curato il monitoraggio, accompagnando le scuole nel processo e nella messa a punto dello strumento per l’autovalutazione. Fra tutte le scuole, poi, dieci sono state scelte per fare degli studi di caso approfonditi (non sono le 10 best practice ma 10 casi tipici). «Questi prototipi, che hanno dato corpo alle intuzioni di Marco Rossi Doria, hanno funzionato», è la sua conclusione: «l’abbandono è diminuito, meno impatto c’è stato sull’innalzamento delle competenze di base, ma è anche vero che due anni sono pochi per valutare questo aspetto», ci spiega. «La vera novità è che per la prima volta alle scuole è stato chiesto di utilizzare degli indicatori di risultato, solitamente in questi progetti si considerano soltanto i numeri dei ragazzi coinvolti ma non i risultati: è stato un cambiamento non immediatamente compreso ma molto d’impatto. Credo che questi prototipi possano essere presi a modello anche per i prossimi bandi PON sulla dispersione scolastica, sarà interessante vedere cosa succede nelle altre regioni d’Italia. Il problema è che finiti i finanziamenti i progetti sono terminati, le scuole hanno manifestato la volontà di continuare con questo approccio, ma ognuna ha dovuto fare i conti con la propria capacità di reperire le risorse per farlo», conclude Lotti.

Cos’è che fa funzionare l’intervento? Le 10 caratteristiche

Attraverso questo accompagnamento, è stato possibile individuare quali sono le dieci caratteristiche che impattano davvero, le 10 cose che fanno funzionare l’intervento contro la dispersione scolastica. Eccole.

  1. La rete: fra le scuole, con le associazioni, con il territorio.
  2. Conoscere i ragazzi: i gruppi funzionano se sono “selezionati” bene tutti i membri che ne fanno parte e per farlo serve conoscere ognuno in maniera approfondita, andando a conoscerlo anche fuori dal contesto scolastico (qui entrano in gioco le associazioni).
  3. Formazione dei docenti
  4. Interprofessionalità: lavorando con approcci diversi ma insieme, i docenti imparano dagli operatori delle associazioni e gli operatori imparano dai professori, in uno scambio reciproco e continuo in termini di conoscenza dei ragazzi e di competenze professionali.
  5. Centralità dell’apprendimento: si collegano le attività extrascolastiche con quelle curricolari.
  6. Continuità verticale: il curricolo verticale funziona, serve che i ragazzini più piccoli vedano che anche i grandi sono impegnati in attività simili alle loro, ci guadagnano in autostima e motivazione.
  7. Accoglienza: vanno previsti e realizzati con cura momenti di accoglienza dei ragazzi, anche informali, ad esempio la mattina prima di entrare in aula, creando dei tempi-cuscinetto.
  8. Portfolio: molti insegnanti lo vivono come un peso burocratico, ma il portfolio consente al ragazzo di vedere ciò che ha fatto, il suo percorso. La pagella è un’altra cosa.
  9. Coinvolgimento delle famiglie
  10. Indicatori di risultato: per capire dove si sta andando e correggere il tiro. Ne erano previsti 30, uguali per tutte le scuole, a cui ogni scuola poteva poi aggiungere indicatori specifici.

Le tre priorità assolute

Tutte queste dieci caratteristiche sono importanti, ma dovendo indicare le priorità per la costruzione di un prototipo di intervento efficace, Lotti ne indica tre oltre agli indicatori di risultato: il coinvolgimento delle famiglie, il coinvolgimento dei territori, la cura della relazione tra docenti e studenti.

«Nei 10 casi studio, dove c’è stato il coinvolgimento delle famiglie le azioni hanno funzionato tantissimo, penso a un’esperienza in provincia di Agrigento dove i ragazzini delle medie hanno fatto un orto insieme ai loro genitori, questa cosa si è rivelata una leva utilissima», spiega Lotti. Per spiegare l’efficacia della rete Lotti indica le esperienze alla Ziza di Palermo e a Siderno, in Calabria: «si è realizzata una sinergia bellissima con le associazioni, i ragazzi sono stati seguiti dalle associazioni in percorsi fuori dal contesto scolastico, sempre in contatto con i professori, e poi riaccompagnati nel contesto scuola dagli stessi operatori». Infine la qualità della relazione tra i docenti e i ragazzi: «tutti i ragazzini che abbiamo intervistato hanno detto che “questo percorso mi è piaciuto perché c’è stata molta attenzione nei miei confronti”: sono gli stessi insegnanti, è solo questione di avere un tempo più disteso e una cura per ciascuno. I ragazzi hanno molta sete di attenzione, sentirsi curati consolida il loro percorso dentro la scuola».

di Sara De Carli – Fonte

Pin It on Pinterest

Share This