Non accennano a placarsi le proteste e gli scontri in Etiopia, culminati in un massacro la scorsa settimana con centinaia di morti. Il governo ha dichiarato lo Stato di emergenza: coprifuoco, internet e social media bloccati ad Addis Abeba e in gran parte dell’Oromia, la regione epicentro dei disordini, dove vive il più grande gruppo etnico del paese, in rivolta ormai da mesi contro il piano del governo che vuole espropriare le sue terre. Le proteste sono state finora brutalmente represse nel sangue. Gli Oromo rappresentano il 32% della popolazione, circa 24 milioni di persone.

Lo stato di emergenza può aggravare la crisi. L’entrata in vigore delle misure di controllo è stata anticipata sabato scorso dal primo ministro Hailemariam Desalegn. Nonostante l’avvertimento delle opposizioni, che avevano paventato un aggravamento dell’instabilità nel Paese, il Consiglio dei ministri ha approvato il provvedimento all’unanimità. Ad accelerare la crisi, legata alle rivendicazioni della comunità Oromo era stata l’uccisione il 2 ottobre di almeno 150 persone durante le violenze scoppiate nel corso dei festeggiamenti in Oromia della fine della stagione delle piogge.

L’ultimo massacro pochi giorni fa, durante una festività. L’episodio più grave è avvenuto sul lago Harsadi, a circa 40 chilometri a sud della capitale. Uomini, donne e bambini sono morti calpestati dalla folla che per sfuggire ai colpi esplosi dalla polizia e ai lacrimogeni ha scatenato l’inferno. La festività arrivava dopo mesi di tensioni tra gli Oromo e il governo. I primi disordini erano scoppiati nel novembre del 2015, quando una delle più importanti manifestazioni contro un progetto di estensione del potere centrale era stata dispersa con la forza.

Una regione ricca di risorse. L’Oromia è ritenuta una delle aree più ricche nel Nord-Est dell’Africa, sia per le sue risorse agricole che naturali. L’etnia della zona aveva contestato da subito il piano governativo “land grab” denunciando una pratica in uso da anni che vede gli agricoltori locali perdere la terra a favore di grosse aziende straniere. Il governo aveva ritirato il piano, ma le proteste sono proseguite, con centinaia di morti e migliaia di arresti.

Uso sproporzionato della forza. L’esercito durante le violenze del 2 ottobre ha usato i blindati per bloccare tutte le vie di fuga e ha iniziato a sparare sulla gente. Alcuni testimoni hanno affermato che non sono stati esplosi solo proiettili di gomma. La folla ha iniziato ad accalcarsi e molti spettatori sono stati spinti contro il palco su cui si stava svolgendo una cerimonia. A quel punto la polizia ha lanciato lacrimogeni e in tanti sono finiti a terra. Chi non è morto soffocato è rimasto schiacciato dalla gente in preda al panico.

Repressione del dissenso e della libertà di informazione. Oltre a reprimere ogni manifestazione di dissenso, le autorità etiopi si sono rese protagoniste di una stretta alla libertà d’informazione. Il 1 ottobre l’ultimo arrestato. A finire in carcere l’intellettuale e blogger Seyoum Teshome, che è anche un docente universitario. Teshome nelle scorse settimane era stato interpellato più volte da numerose testate internazionali sulle rivolte in atto in Etiopia. Secondo il Committee to Protect Journalists sarebbe questa la ragione del suo fermo. L’organizzazione, in una nota, ha sollecitato il governo di Addis Abeba a rilasciarlo “immediatamente e senza condizioni”.

L’ultimo articolo costato la libertà a Theshome. A costare la liberta a Theshome con grande probabilità sono state le dichiarazioni riportate su un articolo pubblicato dal New York Times. Il blogger aveva affermato che il gesto del maratoneta etiope Feyisa Lilesa, il quale alle Olimpiadi di Rio aveva incrociato le braccia sulla testa al momento di attraversare il traguardo in segno di solidarietà con le proteste Oromo, avesse rappresentato un duro colpo all’immagine di Paese prospero e in via di sviluppo propagandato dall’Etiopia. “Ed è questo ciò che il governo teme più di tutto”, aveva dichiarato il professore al quotidiano americano. E il regime non glielo ha perdonato.

di Antonella Napoli – Fonte

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