FIRENZE – «Non è curiosità ma un bisogno legato alla nostra stessa esistenza quello che ci spinge a voler conoscere le nostre origini biologiche». È il rinnovato appello dei «figli non riconosciuti» (almeno 400.000 in tutta Italia dal 1930 secondo le ultime stime) tutti coloro che, pur vivendo una vita felice grazie a genitori adottivi, sentono la necessità di poter sapere – anche a distanza di tanti anni – il nome e le generalità almeno della propria madre naturale, che un giorno (non certo senza sofferenza) decise di abbandonarlo e che per legge ha diritto all’anonimato. In molti casi solo per poter portare un fiore sulla sua tomba finora sconosciuta, in altri per esigenze anche di carattere sanitario, legate a possibili malattie ereditarie trasmissibili ai propri figli.

A Firenze si sono ritrovati, per il secondo anno consecutivo, un gruppo di aderenti al Comitato per il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche e all’ Associazione Figli adottivi e genitori naturali (Faegn). Un convegno dal nome «Siamo adottati e stiamo bene» in corso nei giorni 17 e 18 ottobre presso la Libreria Libri Liberi in via San Gallo 25r a Firenze.

È questo il momento cruciale di una campagna di sensibilizzazione, cominciata nel 2008, che vede un disegno di legge già approvato dalla Camera lo scorso 18 giugno 2015 ma che ora è fermo al Senato in «attesa di calendarizzazione», termine burocratico-parlamentare che non dà certezze. Né sulle date della discussione in Commissione Giustizia né, ancora meno, del voto finale in aula.

Ci sono voluti anni per arrivare all’approvazione a Montecitorio della proposta di legge «Modifica all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità». «Ora il traguardo può essere vicino – dicono i sostenitori della riforma – ma al Senato devono poter fare in fretta».

Quali sono i punti principali della futura legge (salvo modifiche)?

Viene abrogato il periodo di 100 anni dalla nascita di una persona, oggi fissato dalla legge, per poter accedere «da parte di chiunque ne abbia interesse» ai dati sulla sua identità. La nuova norma prevede invece che il figlio maggiorenne (basta quindi avere solo 18 anni) ha diritto di chiedere al Tribunale di conoscere il nome della madre naturale. Il Tribunale decide sulla base del cosiddetto «interpello»: contatta e chiede in via riservata alla madre se vuole rinunciare o meno al proprio diritto all’anonimato. Nel caso che la madre naturale sia deceduta – questa è l’altra novità della proposta di legge approvata dalla Camera – il figlio ha diritto all’accesso diretto.

Una riforma epocale, che però conterrebbe alcuni punti deboli. Primo tra tutti è il titolare del diritto all’accesso ai dati: è il figlio o la figlia e non più «chiunque ne abbia interesse». Pertanto se il figlio adottivo non riconosciuto è già deceduto, i suoi eredi non possono più conoscere l’identità o eventuali dati sanitari della «nonna» e tanto meno del «nonno». Una vera e propria pietra tombale sul passato e sui propri antenati.

Al convegno fiorentino ha partecipato, tra gli altri, l’onorevole Antimo Cesaro, uno dei deputati che hanno sostenuto la proposta di legge passata alla Camera. «Convegni come questi sono indispensabili e vanno incentivati – ha detto – perché l’opinione pubblica va sensibilizzata su questa materia, che ha pari dignità e importanza di altre già all’esame del Parlamento. Ora tocca al Senato, l’importante è fare presto».

Nel corso della riunione è stato anche presentato il libro «Il parto anonimo» (Editore Artetetra), curato daStefania Stefanelli, Emilia Rosati e Anna Arecchia, la prima opera che tratta in maniera scientifica l’argomento della conoscenza delle origini nei suoi tre aspetti fondamentali: giuridico, filosofico-psicologico, e politico-sociale.

di Sandro Addario – Fonte

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