Un’interrogazione parlamentare (Pagliari) e due interpellanze (Brignone e Bechis), la prima audizionein Commissione Giustizia del Senato in merito all’indagine conoscitiva su adozioni e affido, un intervento di fuoco di Carlo Giovanardi ieri mattina in Senato sulle modalità di gestione dell’arrivo, lunedì, dei 51 bambini dal Congo, la presentazione della proposta di legge n. 3635 che prevede la nascita della Agenzia italiana per le adozioni internazionali: le adozioni internazionali sono entrate con forza nell’agenda della politica di questa settimana.

L’ipotesi dell’Agenzia era stata anticipata proprio a Vita nei suoi tratti essenziali dall’onorevole Anna Rossomando, ma ieri è stata ufficialmente presentata a Montecitorio da parte delle onorevoli Pd Rossomando, Sandra Zampa e Lia Quartapelle. L’Agenzia pubblica farebbe tesoro dell’esperienza concreta di Arai, l’Agenzia regionale per le adozioni internazionali, operativa in Piemonte dal 2004 e negli anni convenzionatasi con altre cinque regioni, e fornirebbe assistenza giuridica, sociale e psicologica prima e dopo l’adozione alle coppie che vogliano adottare un bambino proveniente dall’estero. L’Agenzia si affiancherebbe – non sostituendosi – agli enti autorizzati, «in un sistema in cui soggetti pubblici e privati collaborano al fine di dare piena attuazione ai principi della Convenzione dell’Aja».

«Se parliamo di adozioni internazionali è evidente che ci sono state criticità, c’è bisogno di supporto maggiore e questo è l’intento della legge», ha spiegato Anna Rossomando. «La creazione di questa Agenzia, questa riforma, supera il sistema che conosciamo oggi: si apre un nuovo sistema per le adozioni», ha detto Sandra Zampa, ricordando come lunedì, nel corso della prima audizione dell’indagine conoscitiva su adozioni e affido, da parte di tutti sia stato sottolineato come «l’impianto complessivo della legge italiana funziona, non ci sono buchi fondamentali nel pensare l’istituto dell’adozione e tuttavia gli strumenti si sono rivelati obsoleti, cominciano a manifestare segni di inefficacia. Questo ci porta a pensare che si debba cambiare. È un superamento di tutto il sistema».

L’Agenzia sarebbe collegata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, avrebbe una sede a Roma e una operativa a Torino, avrebbe un direttore generale con uno staff di al massimo 21 persone e un fondo da 3 milioni di euro a partire dal 2016 (tolti ai 15 del fondo per le adozioni internazionali previsto dalla legge di stabilità). Con l’onorevole Lia Quartapelle, capogruppo PD per la Commissione Esteri della Camera, abbiamo approfondito la proposta.

Perché una Agenzia nazionale pubblica?
Partiamo da un dato di fatto: le adozioni internazionali nel loro complesso sono un sistema da rivedere. La legge è buona, ma la sua operatività ha mostrato alcuni problemi, a più livelli. Negli anni ci sono state anche vicende drammatiche, penso in particolare al Kyrgyzstan, che hanno posto il tema della necessità di avere veri controlli sugli enti autorizzati, ma dal punto di vista del legislatore in questo momento c’è l’occasione per rivedere tutto il sistema, nel suo complesso, nell’ottica di una maggiore promozione dell’adozione internazionale e di offrire maggior garanzie a bambini e alle famiglie. Diciamo che puntiamo al superamento del “come si adotta” attuale, cercando di dare più accompagnamento, più garanzie di continuità, più affidabilità.

 Nel testo di presentazione citate l’esperienza della Agence Francaise de l’Adoption, scrivete che un ente di natura pubblica al fianco di enti di natura privata dà garanzia alle procedure adottive in quanto la sua sostenibilità finanziaria non dipende dal numero di adozioni effettuato, scrivete che un organismo pubblico, che opera all’interno di un sistema di trasparenza e di tracciabilità dei costi può garantire le coppie e le istituzioni sulla piena eticità delle procedure di adozione internazionale. La scelta dell’ente pubblico quindi è la risposta ai dubbi di eticità che ultimamente sono stati con forza sollevati sulle adozioni?

L’Agenzia non si sostituisce gli enti di natura privata ma si affianca ad essi e li accompagna: è un sistema misto, alla francese. Gli enti stessi potrebbero appoggiarsi all’Agenzia per alcuni servizi, penso in particolare al post adozione che è sicuramente un punto su cui dobbiamo dare più risposte, più garanzie, per tempi più lunghi. Una famiglia potrebbe rivolgersi a un ente per l’adozione e poi all’Agenzia per il post adozione: siccome è un attore pubblico, l’Agenzia avrebbe più collegamenti con i servizi, quindi l’appoggio potrebbe essere più facile, meno costoso, più olistico. Quanto all’eticità, l’Agenzia pubblica diventa di per sé un benchmark sui servizi, sui processi e sull’affidabilità. Prendiamo ad esempio il tema costi: oggi le famiglie rilevano delle differenze di costi tra i vari enti, difficilmente spiegabili, l’ente pubblico invece garantirebbe chiarezza nei costi reali e potrebbe attuare alcune scelte politiche sulla sostenibilità dei costi, modulando i costi dei servizi in base alle fasce di reddito delle famiglie. Se la domanda invece è sul controllo degli enti, noi siamo in un contesto legislativo in cui la CAI c’è e ha un ruolo di controllo e di raccordo con le amministrazioni pubbliche: nell’ambito di un ripensamento complessivo del sistema bisognerà poi vedere nello specifico di alcune funzioni come si vorrà operare.

La vostra proposta prevede che l’Agenzia potrebbe operare nei Paesi che hanno sottoscritto o ratificato la Convenzione dell’Aja e nei Paesi non-Aja solo dietro autorizzazione della CAI. All’ultimo report (2013), il 54% dei bambini adottati in Italia arrivavano da Paesi che non hanno ratificato la Convenzione. Perché questa indicazione?
La questione di come individuare i Paesi con cui operare e delle relazioni con essi è sicuramente uno degli elementi che nella revisione complessiva della legge vanno affrontati, perché attualmente non funziona. La normativa deve prevedere strumenti per evitare il rischio che le adozioni vengano utilizzate come strumenti della geopolitica e bambini e famiglie diventino strumenti di ricatto: purtroppo invece è accaduto. Gli accordi bilaterali aiutano molto in questo senso, però anche lì occorre individuare dei meccanismi per dare garanzie che durino nel tempo.

Le famiglie, dal canto loro, chiedono da esempio un “fondo di garanzia” per sostenere le famiglie che dovessero ritrovarsi coinvolte in situazioni complesse, dipendenti dalle scelte sopravvenute da parte dei Paesi esteri. Lei che ne pensa?
Sono d’accordo sul Fondo, anche se bisognerebbe ragionare meglio sui meccanismi e sui motivi per cui si potrebbe accedervi: chi ha subito una truffa? Chi incorre in spese superiori a quella preventivate perché nel Paese estero l’iter si è complicato? Bisogna approfondire.

di Sara De Carli – Fonte

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