Sono coppie di un Dio minore. Marito e moglie, sposati da almeno tre anni, pronti ad adottare un figlio all’estero o magari in Italia, disposti ad affrontare gli alti costi di una procedura che attraversa servizi sociali, aule dei tribunali e studi di avvocati, con la solita gincana burocratica: tutto sempre più difficile e più inutile. Le adozioni internazionali in Italia, infatti, negli ultimi cinque anni si sono dimezzate, e siamo passati da 3.320 bambini nel 2011 a 1.969 nel 2014, una cifra che, verosimilmente, sarà confermata nel 2015.

Eravamo secondi al mondo, dopo gli Stati Uniti, per l’efficacia di questo meccanismo, e adesso ci ritroviamo ultimi in Europa. Così mentre l’Italia si divide sui diritti delle unioni civili, sulla stepchild adoption, sull’utero in affitto, e mentre si contano 5milioni e 400mila famiglie senza figli (circa un terzo del totale), l’adozione internazionale da grande opportunità per un Paese ispirato all’accoglienza e in crisi demografica, sta diventando un tabù, un obiettivo di fatto virtuale, irrealizzabile.

«Ci stanno distruggendo, nell’indifferenza e nell’ignoranza, forse perché non abbiamo alle spalle una lobby potente, come le varie associazioni degli omosessuali. Non riusciamo a dare altre spiegazioni a tanti elementi che ci stanno trascinando in un baratro, ovvero nell’impossibilità, anche quando ci sono tutti i requisiti, di adottare un bambino, e di compiere così un gesto di generosità e di apertura della famiglia», protesta Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. (Associazione Amici dei Bambini), uno dei 66 enti autorizzati dalla legge ad accompagnare le coppie intenzionate a portare a casa un bambino straniero da adottare. E Antonio Dionisio, avvocato torinese specializzato nel Diritto di famiglia, aggiunge: «Forse il disinteresse della politica nasce dal fatto che comunque parliamo di un fenomeno ridotto, con alcune migliaia di famiglie in campo, che certo non portano tanti voto».

I segnali del disimpegno sono diversi. Lo sanno bene le famiglie che da tre anni aspettano di ricevere dal Congo i bambini già adottati, ben 1.500, bloccati dalla decisione del paese africano di chiudere le porte a questa procedura. Alcuni genitori, qualche giorno fa, si sono incatenati davanti a Montecitorio, chiedendo un intervento diplomatico da parte del governo per sbloccare la situazione: il tema, infatti, si presta a un negoziato politico, che non può essere certo affrontato da una singola famiglia o da una piccola associazione. Un altro segnale negativo sulle adozioni internazionali è stato il depotenziamento della Commissione per le Adozioni Internazionali, che per tradizione era presieduta da un ministro (di solito il responsabile del Welfare o della Sanità), e che oggi è guidata da un magistrato nel ruolo di vice-presidente: Silvia Della Monica, ex parlamentare del Pd. Ma finora la nuova Commissione si è riunita una sola volta, e i dati che ha raccolto e pubblicato sono fermi al 2013.

Intanto i paesi dai quali dovrebbero arrivare i bambini stranieri da adottare diminuiscono. Il Congo, come abbiamo detto, ha chiuso le porte dopo che una coppia americana aveva prima adottato un bambino africano e poi, non contenta per la scelta, lo aveva ceduto a un’altra famiglia. Adozioni sbarrate anche dal Kenya, dalla Cambogia e dal Nepal, mentre l’Etiopia procede con una politica di stop and go. Allo stesso tempo, negli ultimi quattro anni nessun nuovo paese straniero è entrato nel gruppo di quelli dove è possibile avanzare una richiesta.

di Antonio Galdo – Fonte

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