In vista dell’udienza preliminare del prossimo 2 febbraio, quando nella stanza 26 del V Piano del Palazzo di Giustizia di Savona si inizierà il processo davanti al giudice Francesco Meloni, in relazione all’inchiesta sul caso dell’ente adottivo di Albenga Airone Onlus, accusato di avere truffato 21 coppie con la promessa di adottare un bambino in Kirghizistan, si torna a parlare della questione, ma lo si fa attraverso gli occhi di una delle coppie che ha vissuto questo dramma.

Solo in questo modo, infatti, è possibile capire cosa tutto questo ha comportato nella vita di intere famiglie, e di bambini inconsapevoli che, a causa di quella truffa hanno conosciuto persone che gli hanno fatto sperare in una vita e in un futuro migliore.

Per capire meglio la vicenda occorre, però, ripercorrerla brevemente.

Il caso, lo ricordiamo, era scoppiato nel 2012 con l’arresto del ministro dello Sviluppo sociale kirghiso, Ravshan Sabirov, della referente di Airone, Venera Zakirova, e la fuga di Alexander Angelidi. Allora era emerso un giro di affari e truffe di centinaia di migliaia di euro con visite ad orfanotrofi dove venivano mostrati agli aspiranti e speranzosi genitori bambini in realtà non adottabili.

Racconta Fabio Selini, uno degli aspiranti genitori coinvolti nella vicenda: “Tutto è iniziato tra il 2011 e il 2012 quando, dopo aver adottato Daria sempre con Airone Onlus, abbiamo deciso di adottare un secondo bambino e ci siamo naturalmente rivolti sempre ad Airone Ente verso il quale avevamo una grandissima fiducia”.

Spiega Fabio: “Quando ci si rivolge ad un ente per adottare, infatti, si stipula si un contratto, ma si instaura anche un rapporto umano, di fiducia verso quelle persone che ti accompagnano durante un percorso non sempre semplice come quello dell’adozione. Con Daria era andato tutto bene e, quindi, ci siamo nuovamente rivolti a loro.”

Da qui la proposta di avviare il percorso in Kirghizistan che si era appena aperto alle adozioni internazionali in un progetto sperimentale, ma assolutamente sicuro, così almeno era stato detto agli aspiranti genitori.

“L’Ente nel giugno 2012 – continua a raccontare Fabio – ci ha abbinati con un bimbo di circa tre anni di nome Vladimir e, fatte le prime carte necessarie per procedere nel percorso adottivo siamo partiti per il Bishkek speranzosi di poter già portare a casa con noi il bambino.”

Da qui una serie di “bizzarrie” alle quali i genitori hanno dato conto, ma essendo un paese nuovo ed un progetto pilota hanno continuato a dare credito ad Airone e ai loro referenti non facendo caso al fatto che per vedere Vladimir era necessario attendere ore davanti all’istituto nel quale era ospitato, o al fatto che non vi era stato un incontro con il direttore dello stesso “Abbiamo passato 10 giorni con quello che doveva essere nostro figlio. Lo abbiamo portato al parco, lo abbiamo presentato a Daria che era entusiasta per il fratellino. Sopratutto abbiamo ed in particolare ho fatto delle promesse a quel bambino di tre anni. Gli ho promesso che presto lo avrei portato a casa e che sarebbe stato bene. È questa una delle cose che mi pesa maggiormente”.

Poi dei problemi burocratici e Vladimir non sarebbe potuto partire, ci voleva ancora qualche tempo: “Accettammo quella spiegazione, le adozioni a volte sono complesse ed è necessario affrontare un percorso che dura tempo e diverse visite. Siamo tornati a casa certi che presto saremmo tornati in quel paese con nostro figlio. Invece così non è stato e ci accorgemmo della realtà solo mesi dopo quando durante una riunione di fine settembre 2012 ad Azzano San Paolo (ndr. Altra sede di Airone oltre a quella di Albenga) nella quale comprendemmo che il destino della nostra adozione era drammaticamente segnato.”

A quel punto per Fabio e la sua famiglia iniziò un periodo drammatico nel quale risistemare i cocci del proprio cuore e della propria esistenza e cercare un modo per andare avanti, sì, ma senza mai poter dimenticare il piccolo Vladimir.

“Noi siamo andati avanti abbiamo, in seguito adottato un altro figlio dal Sud America, ma il dramma che abbiamo vissuto in Kirghizistan è stato difficile da superare e la cosa più terribile è che ancora adesso noi non sappiamo assolutamente nulla di Vladimir. – spiega Fabio – Logicamente avendo scoperto che non è adottabile non vorremmo certo turbarlo o disturbarlo nella sua esistenza, ma ci chiediamo come sia possibile che le autorità non possano fare in modo di sapere per lo meno come stanno tutti quei bambini che noi come altre coppie abbiamo conosciuto, visto e con i quali, seppure per un breve periodo, abbiamo “fatto famiglia”.”.

Naturalmente, poi, c’è anche il discorso economico. La truffa, infatti, aveva come fine quello di accaparrarsi il denaro delle coppie “Sono 15, 20 mila euro – conferma Fabio – erano soldi che sarebbero stati utilizzati per il futuro dei miei figli naturalmente. È vergognoso che in tutti questi anni ancora non ci siano stati restituiti”.

Quale, adesso, la speranza da questo processo? “Ormai la rabbia ed il desiderio di vendetta è superato dal desiderio di risposte dalle istituzioni e dal Governo. I genitori che si apprestano ad adottare si affidano ad enti che sono certificati e che dovrebbero essere controllati. Il loro pensiero non dovrebbe essere quello di essere o meno truffati. Il loro unico pensiero dovrebbe essere ‘ mio figlio mi abbraccerà quando lo incontrerò? Mi accoglierà come genitore?’. La nostra famiglia si costituirà parte civile, perché non possiamo fare altrimenti. Da questo processo mi aspetto semplicemente che venga chiaramente definita la nostra identità di vittime, che si riconosca il danno causato a bambini, mamme, papà e fratelli. Solo grazie a questo passo si potrà agire per garantire rispetto, risarcimento e futuro ai protagonisti sfortunati.”

Naturalmente la tensione di queste ore e di queste ultime giornate prima del processo è palpabile nella voce di Fabio “Dovremo rivivere quei momenti terribili e rivedere alcune persone. Nessuno ci ha mai chiesto scusa in questo percorso ed anche delle altre famiglie truffate solo poche sono state dalla nostra parte. Inizialmente qualcuno ha pensato anche che la loro adozione fosse sfumata a causa nostra, perchè avevamo denunciato quanto ritenevamo stesse accadendo. Ammetto che in questi giorni dormo poco e la tensione è alta. Non vorremmo trovarci nuovamente soli, per anni. Proprio per questo spero che il 2 febbraio nella stanza 26 del V Piano del Palazzo di Giustizia di Savona non saremo soli, ma saremo circondati da persone interessate alla vicenda, interessate a sensibilizzare l’opinione pubblica e a fare in modo che cose di questo genere possano non accadere più”.

Ma chiudendo gli occhi, potendo esprimere un desiderio, quale sarebbe quello di Fabio? “Che mi fosse consentito di chiedere scusa a Vova per le promesse che gli ho fatto e non mi è stato consentito mantenere”.

di Mara Cacace – Fonte

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