Adele, nome di fantasia,55enne,è una “madre anonima”. Tre mesi fa un’assistente sociale le dice che la bimba che ha lasciato dopo un parto a 16 anni vorrebbe conoscerla. Però lei rifiuta: “Sconvolgerei la mia famiglia attuale”

(di MARIA NOVELLA DE LUCA)

“LEI è rimasta sepolta nel mio cuore. Qui, dentro di me. Avevo soltanto 16 anni, mio padre mi obbligò a lasciarla in ospedale. Ho altri quattro figli, e ad ogni parto il loro pianto mi ha ricordato il suo pianto, la sua voce di bambina appena nata e subito perduta. Ma oggi non posso incontrarla, capitemi, non posso. Mio marito e i miei ragazzi non sanno nulla, nessuno sa nulla, forse il mio silenzio è stato un errore, ma questa notizia potrebbe sconvolgerli, distruggere la famiglia. Non cercatemi più: quella nascita è il mio segreto e tale deve restare”. Adele, così ha chiesto di essere chiamata, ha 55 anni ed è una “madre anonima”. Nel 1980, poco più che adolescente, Adele resta incinta: un amore giovanile, un errore, o forse qualcosa di peggio. I genitori nascondono la sua gravidanza, in famiglia è il padre che comanda e decide per tutti. Un uomo duro, autoritario, violento. Un paese del Sud, una morale arcaica. In segreto Adele viene portata a Roma, partorisce in un grande ospedale della periferia, e abbandona la sua bambina, chiedendo di restare anonima. “È stato il dolore più grande della mia vita, credete forse che si possa dimenticare un figlio?”.

Tre mesi fa, su mandato del presidente del Tribunale per i minori di Roma Melita Cavallo, un’assistente sociale la cerca e la contatta, nel paese campano dove tuttora Adele vive con la sua grande famiglia. Una casa curata e lucida, quattro figli, due maschi e due femmine, queste ultime ancora adolescenti. Con delicatezza e cautela. “Signora, sua figlia vorrebbe incontrarla, ha presentato un’istanza…”. Ma Adele, a differenza di molte “madri segrete” felici di aver potuto ritrovare i figli abbandonati tanti anni prima, dice no. E affida il suo racconto, quello di una vita a metà, all’assistente sociale. La voce segnata dal dolore che riaffiora, il lungo pianto che accompagna le parole. La sua busta adesso, con i dati di quel dramma giovanile, verrà di nuovo blindata. Per sempre. Nei cassetti del tribunale di Roma.

“Ho studiato, mi sono diplomata, a vent’anni mi sono sposata la prima volta. Non sono mai riuscita a dimenticare, ma la mia vita è andata avanti, ho un lavoro che ho costruito a fatica, tanti figli. Tutti bravi ragazzi. Ma quel segreto è restato un segreto. Forse è stato il condizionamento di mio padre, o la vergogna di aver abbandonato la bambina. Ma non potevo difendermi, ero prigioniera della mia famiglia e della mia giovinezza. Ho vissuto il presente, seppellendo il passato. Riaprire dopo 35 anni quel capitolo sarebbe un disastro per tutti “.

Adele resta vedova, si risposa, diventa madre altre due volte. È una donna istruita, gentile, dirige un negozio. “Spesso penso che avrei dovuto raccontare tutto ai miei compagni, ai miei figli. Magari avrebbero capito, ma adesso è troppo tardi. Viviamo in una realtà provinciale, soprattutto per le più piccole sarebbe uno scandalo. Resterò anonima, come dice la legge. Anche se non l’ho scelto, ma subito”. Un pezzo di sè che muore. “Potevano passare giorni senza che pensassi a lei. Poi all’improvviso bastava il disegno di una delle mie figlie, un passeggino vuoto, una voce, e tutto tornava alla mente…”.

Adele dunque risponde “no” alla richiesta di quella bambina nata 35 anni fa, e cresciuta con una famiglia adottiva. “Anche se la incontrassi in segreto, sono sicura che poi mi tradirei davanti a mio marito”. Ma Adele è una delle poche. Perché invece, spiega Melita Cavallo, presidente del Tribunale per i minori di Roma, “su quindici istanze di figli che hanno chiesto alle madri di rimuovere l’anonimato, tredici donne hanno accettato e due hanno detto di no”. Libertà di scelta. Eppure Adele non chiude tutte le porte. Accetta comunque di “aiutare” la figlia di cui ricorda, come dice più volte, soltanto il pianto della nascita. Ossia l’esordio nella vita. Accetta che il tribunale renda noti i suoi dati sanitari. “Non voglio incontrarla ma è giusto che sappia da chi proviene. E possa capire se la malattia di cui soffre ha un’origine genetica. È poco, lo so. Ma forse è un risarcimento, per me e per lei. Siamo state vittime entrambe, oggi la società è diversa. Il passato però non si cambia, lo lascerò sepolto nel mio cuore”.

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