Pubblicato Domenica, 16 Giugno 2013 –
La campagna (dis)informativa sulla giustizia minorile appassiona periodicamente giornali e web
Titolo: “Affido minorile come sequestro di Stato”. Incipit: “Secondo una recente inchiesta italiana, si conta che in Italia sono oltre 32mila i bambini che vengono sottratti alle famiglie. Queste sottrazioni, possono essere definiti sequestri di Stato. Dietro i fenomeni dei sequestri di Stato ci sono le case famiglia, spesso cattoliche, i servizi sociali ed il tribunale dei minori. Dulcis in fundo… tantissimi soldi”. Segue la ‘denuncia’ del presidente di Federcontribuenti, tale Paccagnella, che vorrebbe coinvolgere il Parlamento per affrontare lo scandalo in questione. La denuncia è fatta propria dal luogo virtuale che la ospita (qui si trova l’articolo).
L’anfratto online che lancia l’ennesima bomba nello stagno dei luoghi comuni, delle generalizzazioni e della demagogia non è certo tra i più angusti. Si tratta di un blog che di minori si occupa fin dal titolo:Bambinizerotre. Qui si parla di adozioni e di omogenitorialità, così come di ricette, di mammevip, di fitness, di disabilità e di viaggi per famiglie.
La tesi non è nuova, e di tanto in tanto si ‘merita’ titoli a nove colonne persino sui grandi giornali di informazione: esisterebbe un sistema generalizzato all’insegna della corruzione nel ‘triangolo’ Tribunali dei minori (Tdm)-servizi sociali-comunità di accoglienza.
Tesi azzardata, perché mi sfugge dove possa risiedere la ‘cupola’ di un sistema del genere (tanto più che è facilmente verificabile, al contrario, la totale parcellizzazione e spesso incomunicabilità nei rapporti tra enti giudiziari ed enti pubblici locali e tra questi e le strutture, diversissime tra loro: incomunicabilità pagata dai minori per effetto del caos che si genera…).
Ma se anche il sistema corrotto non fosse generalizzato (e allora però sarebbe grave e colpevole aver sostenuto quella tesi, in quanto venata di demagogia e populismo) vorrebbe dire che uno, due, tre o dieci presidenti di Tdm o giudici togati o onorari sarebbero pronti a prendere mazzette da qualche struttura di accoglienza. Bene, anzi, male.
Considerando però la buona stampa di cui godono le presunte vittime delle ipotizzate schegge impazzite del sistema giudiziario minorile (basti pensare allo spazio che ottengono nelle trasmissioni ‘giornalistiche’ pomeridiane) perché non si rivolgono alla procura della Repubblica chiedendo l’avvio di indagini sulle vessazioni subite?
Lo stesso articolo che ipotizza “sequestri di Stato” dà conto invece di un’unica inchiesta aperta in Italia, nella fattispecie a Napoli. E’ indubbiamente più comodo continuare a sparare nel mucchio.
Quando nell’estate 2011 la magistratura recapitò avvisi di garanzia ai responsabili di una casa famiglia e all’esponente politico che la ‘proteggeva’, in una cittadina del basso Lazio, per il mercimonio umano attorno ai profughi e ‘clandestini’ sbarcati a Lampedusa e spediti in strutture di accoglienza fatiscenti, la notizia passò quasi sotto silenzio. Curioso.
Successivamente si è saputo (sempre tra addetti ai lavori) dei rinvii a giudizio e qualche mese dopo addirittura delle cinque custodie cautelari emesse dalla procura di Latina (grazie alla stampa locale, perché la notizia è rimasta confinata lì: qui si possono leggere i dettagli dell’evoluzione dell’inchiesta).
E dire che le vittime erano addirittura dei poveracci, che avrebbero potuto alimentare tranquillamente, loro malgrado, corruttele di ogni genere, ordite dal ‘sistema’, senza suscitare l’attenzione di alcuno. Invece una procura ha voluto vederci chiaro. Strano.
Io mi domando se sia davvero così facile veder ‘tolto’ il bambino ad una coppia in Italia. Mi pare che i servizi sociali, vuoi per inerzia, vuoi per superlavoro, facciano una fatica terribile a seguire financo i casi ‘difficili’ che hanno in carico. E stiamo comunque parlando di maltrattamenti gravi, incuria grave o abusi. Se davvero ad una famiglia avessero tolto il figlio senza una di queste tre motivazioni, non dovrebbe essere così difficile rivolgersi alla magistratura e denunciare un fatto ovviamente gravissimo.
Tornando all’inadeguatezza operativa dei servizi sociali (per difetto e non per eccesso) penso alla situazione vissuta dai cittadini di alcune realtà. Secondo la discutibilissima norma secondo cui il numero di addetti ai servizi sociali è definito ‘per abitante’ e non sulla base di reali difficoltà accertate nella ‘gestione sociale’ del territorio, può accadere che alcune cittadine del Belpaese (riconosciute magari come immense periferie urbane) abbiano lo stesso numero di assistenti sociali e psicologi di una cittadina-modello, omogenea alla precedente solo per numero di abitanti in quella porzione di territorio. Non dev’essere difficile per un operatore oberato di fascicoli perdere di vista quelli ritenuti secondari.
Magari stiamo parlando di pratiche che riguardano bimbi di 7 anni di etnia romanì, per i quali è la struttura di accoglienza che li ospita a richiedere attenzioni affinché venga presa in esame l’ipotesi di aprire (prima o poi…) la procedura pre-adottiva, qualora le indagini di rito (giacenti in qualche cassetto) con i servizi sociali del Paese di provenienza conducano in quella direzione. E chi ha adottato bimbi sa bene che cosa possa significare per quel minore subire la perdita di tanto tempo prezioso, al fine di trovare una famiglia pronta ad accoglierlo. Tanto più con l’avanzare dell’età, che in quanto tale rende più difficile l’avvio di una procedura preadottiva.
Ma qui stiamo parlando di intollerabili burocrazie, dell’effetto dei tagli al personale, oppure di incomunicabilità o disaccordi tra diversi uffici impegnati nella gestione di pratiche colme di umanità sofferente; tutte dinamiche pagate in primo luogo dai minori (alla faccia dell'”interesse superiore” che dovrebbe tutelarli). Non stiamo parlando di un mostruoso meccanismo ordito da uffici pubblici giudiziari o comunali all’insegna della vessazione dei loro genitori (e successivamente dei loro figli).
Va aggiunto che i comuni spesso non hanno soldi per pagare le rette dei bambini ospitati nelle strutture di accoglienza, e tendono perciò a rimandarli a casa, anche in situazioni difficili, piuttosto che viceversa. Dove sta dunque la convenienza degli enti locali ad ‘oliare’ quel sistema corrotto? La convenienza può averla la casa famiglia vattelapesca: ‘caro comune, io ti pago la mazzetta e tu mi mandi il minore facendolo strappare alla madre’. Poi però il comune come la paga la retta? Le cronache sono piene di resoconti di tagli ai servizi pubblici territoriali, anche più urgenti rispetto a quelli di cui stiamo parlando, a causa della drastica riduzione delle rimesse fiscali dallo Stato agli enti locali.
Il tema della sottrazione indebita di minori, piuttosto, potrebbe riguardare alcuni (o tanti, non saprei) casi di bimbi romanì. Esistono denunce circostanziate in tal senso (in questo articolo ne trovate una) che partono da un presupposto condivisibile: gli sgomberi o gli atti che riguardano quel popolo sono spesso intrisi di ignoranza xenofobica e discriminazione sociale. Nemmeno in questo caso, comunque, è ragionevole ipotizzare un complotto istituzionale volto alla sottrazione di minori romanì alle loro famiglie.
Piuttosto, i cittadini ‘per bene’ che abitano più o meno vicino ai campi non si rendono conto di quanto sarebbe più conveniente (oltre che civile) investire su politiche di inclusione sociale piuttosto che rivendicare sgomberi solleticando amministrazioni locali alla ricerca di voti facili: costerebbero molto meno ai comuni e alle tasche dei contribuenti e… non verrebbero strappati minori ai loro genitori (minori che non difende nessuno, in questo caso).
Dunque occorre chiedersi retoricamente: perché verso le famiglie davvero deboli non esiste il ‘controllo sociale’ che, ad esempio, ha alimentato l’accanimento mediatico – appoggiato dalla sinistra femminista – sul caso di Cittadella (dettagli visibili qui) o che alimenta l’accanimento – appoggiato dalla destra maschilista – da parte di qualche associazione di padri separati?
Ad ogni sgombero di romanì, invece, è più che lecito supporre corrispondano affidamenti ai servizi sociali di minori senza che sia stata effettuata il più delle volte una ricerca sufficientemente approfondita in merito allo stato di salute sociale di quella famiglia, seppur domiciliata in un campo disagiato.
Credo, insomma, che bisognerebbe riflettere su tutti questi aspetti con amor di verità e senza difendere interessi che, a me pare, talvolta appaiono di natura lobbistica, benché i loro portavoce si scaglino a loro volta contro una presunta e gigantesca ‘lobby’.